Le promo impattano sul valore della marca? Come?

Siamo arrivati al centesimo post pubblicato sul nostro blog, con migliaia di lettori che ringraziamo. Per festeggiare parleremo di promozioni, argomento sempre gradito, e di come cambi l’equity, quindi il valore della marca in presenza o meno di tagli prezzo.

Il calcolo dell’equity da noi fatto considera la posizione competitiva di una marca quindi, in sostanza, la quota di mercato, e le scelte dello shopper, ovvero quanti acquisti di un brand specifico sono fatti considerando un certo numero di persone che davanti allo scaffale stanno facendo la loro scelta.

Prima considerazione: l’equity della marca si modifica al variare del contesto. Ad esempio, una promozione impattante può modificare i rapporti di valore fra marche. Questo vale anche per le private label, che in alcuni casi sono dei competitor della marca ricchi di valore.

Prendiamo come sempre un caso: un follower (food confezionato) attiva un taglio prezzo. La sua quota aumenta di 8 punti, togliendo volumi al leader. L’equity cresce di pochi decimali, mentre quella del leader resta invariata.

Morale: la spinta promozionale porta un vantaggio immediato (in volumi, ma a che prezzo!) al follower. I maggiori volumi non implicano una crescita significativa dell’equity. La marca leader, a parte una momentanea flessione nel sell-out, è del tutto indifferente in termini di valore di marca.

Ancora una volta la marca forte vince e la promozione si dimostra (di nuovo) una costosa attività tattica che non intacca il vero valore dei brand più rilevanti.

Come sceglie lo shopper fra due prodotti quando uno è in promozione?

Parliamo ancora di promozioni, tema che in ogni post raccoglie migliaia di visualizzazioni. Un’analisi interessante riguarda la cannibalizzazione fra due marche di alimentare confezionato, con quote di mercato simili. Sono prodotti sostanzialmente sostituibili. Ma quanto?

E’ banale dire che durante la promo crescono le quote di mercato del prodotto in promo e calano quelle del concorrente. Cosa succede lato shopper?

  1. la promo è un potente attrattore. Nel periodo promozionale le presenze davanti allo scaffale sono quasi raddoppiate rispetto al periodo in cui nessuna delle due marche era in promozione.
  2. Il dato è confermato dall’attrattività dello scaffale, in aumento durante la promo (significa che gli shopper cercano attivamente la promozione).
  3. La marca non in promo perde 7 punti di quota e quella in promo ne guadagna 6. Quindi un travaso deciso di volumi.
  4. L’indice Sale Index, da noi sviluppato per misurare gli acquisti fatti considerando 100 shopper davanti ai prodotti, cala di soli 4 punti durante la promo per il prodotto non promozionato. Lo stesso indice crolla di quasi venti punti al termine dell’attività di sconto per il prodotto in promo.

Quindi, evidente spostamento di volumi ma tenuta del prodotto non in promo che è sacrificato nel sell-out ma non cede, anzi mantiene la sua posizione, nelle scelte del consumatore. Un’indicazione importantissima per verificare il valore della marca.

Ecco un altro esempio di ciò che avevamo già affermato a fine 2019. (https://dialogica.it/blog/2019/11/19/il-dato-di-sell-out-spiega-leffetto-non-le-cause-e-puo-generare-confusione/). Analizzare il solo dato di vendita non è sufficiente per una buona pianificazione di shopper e trade marketing. Il venduto racconta gli effetti, ma non le cause che li generano.

Le promozioni spostano shopper da un prodotto all’altro (della stessa marca)?

Promuovere sempre e comunque, tanto si vende di più! Il vecchio mantra “vendi e pentiti” è duro da confutare. Prendiamo un caso recente in cui abbiamo analizzato i risultati di prodotti food esposti a scaffale (con porta) e in promo, con diversa confezione ma medesima marca, in una vasca davanti al banco taglio.

In situazione normale, quindi senza promo, si nota una decisa segmentazione fra gli shopper, con un gruppo orientato all’acquisto del prodotto confezionato ed esposto nello scaffale refrigerato e un altro che acquista nella vasca. Durante una promozione (prima delle feste di fine anno) si evidenzia una correlazione molto alta fra gli shopper davanti al frigo e il sell-out, come effetto della promo. In pratica, più shopper al frigo e crescita del sell-out.

In promo si vendono 1,3 confezioni per ogni shopper che guarda lo scaffale. Il valore scende a 0,26 pezzi al termine della promo.

Durante la promo le presenze al banco taglio restano uguali al periodo pre-promo ma le vendite della confezione (della stessa marca) esposte nella vasca calano del 13 %.

Insomma, la promozionalità orienta i consumi e sposta parte degli acquisti cannibalizzando il prodotto esposto nella vasca davanti al banco taglio, che peraltro ha un prezzo decisamente più basso della confezione nella vasca.

Il gioco vale la candela? Più vendita al frigo a prezzo più basso e meno alla vasca, con prezzo più alto. A voi trarre le conclusioni.

La qualità dei punti vendita sposta shopper da uno store all’altro?

La qualità costa, dicono. Ma rende? Se sì, quanto? E se parliamo di un supermercato, quanti consumatori attrae? Domande ricorrenti e che non sempre hanno facile risposta.

Abbiamo avuto la possibilità di confrontare due punti vendita della stessa insegna (uno dei leader in Italia) in due zone diverse (Nord ovest e Nord Est), ma con bacini simili per dimensione, segmentazione dei clienti, reddito.

Il primo store, un ex caseificio, senza essere una boutique, è molto curato. Gli assortimenti sono sufficientemente ampi e profondi, senza essere ridondanti. Vi sono ambienti molto ben studiati e mantenuti (Vino, salumi, formaggi…). In generale si nota cura, pulizia, attenzione alle scelte assortimentali e agli shopper.

Il secondo punto vendita è decisamente scialbo. L’impressione generale è di poca cura, il layout è confuso, i prodotti sono accatastati sugli scaffali, non c’è alcuna ambientazione e le scelte sembrano privilegiare la convenienza alla qualità.

Si avvicinano il Natale e le feste di Capodanno. Cosa succede? Il primo punto vendita aumenta le presenze di shopper del 6 %, il secondo registra un calo del 6,6 %. Una forbice di quasi 13 punti!

La qualità paga: il primo punto vendita viene premiato dagli shopper che lo scelgono per gli acquisti delle feste di fine anno. Gli shopper disertano il secondo punto vendita per rivolgersi ad altri store più gratificanti e più adatti agli acquisti pre festivi.

Morale: la qualità paga. Non solo il traffico dello store 1 è decisamente molto più alto dello store 2 ma cresce in occasione di un evento importante in cui si presta maggiore attenzione agli acquisti.

Il Natale al tempo della Pandemia

Passate le feste e avvicinandoci ad una penisola in giallo, forse preludio di un (lento, lentissimo) ritorno ad una cauta normalità, vediamo cosa è successo nei supermercati nel mese di dicembre.

Come prevedibile assistiamo ad una crescita degli ingressi nei punti vendita prima di Natale e di Capodanno a cui però, non sempre, equivale una proporzionale presenza di shopper davanti agli scaffali.

Analizziamo un panel di store formato da punti vendita di dimensioni medie (800/1000 mq) e piccoli ipermercati (2.500 mq).

Se escludiamo i prodotti da ricorrenza e gli alimentari di base (Carne, verdura, pane…) la media di presenze davanti agli scaffali varia dal 4 % al 16 % degli ingressi, con una varianza molto alta a seconda delle categorie.

Prima delle feste il traffico aumenta di più nei PdV più grandi e ciò fa diminuire l’indice di arrivi allo scaffale (il traffico dello store sta al denominatore della frazione e più aumenta più il risultato cala). Quindi un puro effetto aritmetico. I punti di vendita più piccoli evidenziano una crescita di traffico molto più contenuta.

La varianza dipende in parte dalla dimensione dello store ma soprattutto dalla categoria. Oltre ai prodotti stagionali e da ricorrenza, la crescita di presenze a scaffale più elevata si registra davanti alle categorie di ingredienti per la preparazione di ricette (ma anche alle marmellate, alle creme spalmabili etc.). Queste categorie, cresciute molto nel primo lockdown, stanno continuando a crescere, grazie anche ai blocchi in casa durante le feste.

Quindi una fine anno fatta di luci e ombre con alcuni prodotti, anche di una stessa impresa in difficoltà, ed altri decisamente in ottima salute.

Lo shopper di domani: il punto di vista di Liz Crawford

Liz Crawford è l’autrice del libro “The Shopper Economy”, una vera pioniera dello shopper marketing. Liz ha risposto alle nostre domande durante un webinar e, viste le molte richieste, pubblichiamo un post con la sintesi della nostra conversazione.

Abbiamo iniziato ad affrontare il tema centrale dello shopper marketing: cosa succede nel momento della verità, quando uno shopper davanti allo scaffale sta decidendo che cosa comprare. Liz concorda che è IL momento fondamentale ed è molto sottovalutato dalle aziende. Un vero buco nero nelle prassi (e nella letteratura) di marketing. Si deve approfondire il tema anche perché l’attenzione è la vera currency del nuovo modo di gestire la relazione di uno shopper con le marche a scaffale. L’attenzione è un elemento raro, quindi prezioso, che deve essere studiato a fondo, capito, e utilizzato come vero vantaggio competitivo. Non possono bastare pochi casi generici, o peggio esperienze empiriche del passato (abbiamo sempre fatto così). Il nuovo shopper deve essere studiato in modo approfondito, le sue caratteristiche, come considera i prodotti, i suoi comportamenti. La vera sfida è cogliere il vero shopper nel vero momento dell’acquisto, andando anche ad approfondire il pre-shop, quali sono le motivazioni, i fattori influenzanti.

Negli Stati Uniti la classe media si sta sempre di più assottigliando e i punti vendita low-cost (Dollar Store) sono in crescita grazie a shopper con sempre minori disponibilità. Nella parte alta della piramide crescono le vendite on-line. I retailer tradizionali, e le marche, si trovano nel mezzo di un cambiamento: ovviamente i più grandi e strutturati retailers sono quelli con più risorse e che stanno investendo di più. Il vero campo di battaglia è, oggi più che mai, e non importa se si considera il canale on o off line, lo shopper, i suoi bisogni, come soddisfarli con un’offerta veramente centrata.

Abbiamo poi affrontato il tema BOPIS (Buy on line pickup in-store), da noi click and collect. Negli USA sempre più gente torna negli store fisici dopo la pandemia, ma lo scontrino è decisamente più elevato quando si compra on-line e il click and collect registra lo scontrino medio più alto: è un comportamento che si consolida e che sarà destinato a crescere nel tempo.

Sotto il risultato di una ricerca condotta da TPN negli USA.

Lo shopper che verrà: nasce Shopper Team per raccontarlo e capirlo

Per aumentare, anche in Italia, la cultura dello shopper marketing nasce Shopper Team. Un’iniziativa dei tre player più significativi nel panorama nazionale dello shopper marketing: Dialogica, che si occupa di ricerche e misurazione dei comportamenti d’acquisto, Immediando, leader nel presidio e nella rilevazione nei punti vendita, Save as, la storica agenzia italiana specializzata nello shopper engagement e nella ideazione e realizzazione di materiali di comunicazione.

Shopper Team vuole contribuire a migliorare il know-how, l’esperienza, la sensibilità dei professionisti dello shopper marketing, una disciplina arrivata in Italia da pochi anni. Oggi più che mai, in un momento di perdurante difficoltà delle famiglie, è vitale per le marche essere presenti e propositive, per non rinunciare al loro fondamentale ruolo di garante di qualità e di supporto nelle scelte delle famiglie italiane. Il momento dell’acquisto, da sempre un vero e proprio buco nero nella teoria e nella prassi di marketing, deve essere studiato e capito per semplificare la scelta, offrire la migliore esperienza, la massima convenienza.

Shopper Team proporrà alle aziende a titolo gratuito momenti di riflessione, percorsi di conoscenza e formazione, incontri con esperti italiani e internazionali. Fornirà percorsi di formazione mirati a giovani e a neo assunti; coinvolgerà professionisti di diversi settori per condividere studi e analisi. I casi di successo saranno studiati partendo dall’analisi, passando per il presidio e la verifica dell’execution, per arrivare ad una nuova efficace creatività, che parta dalle esigenze degli shopper e torni ad essi ricca di stimoli, suggerimenti, consigli per un acquisto più consapevole e appagante.

Shopper Team ha invitato Liz Crawford, esperta statunitense e autrice del libro “The Shopper Economy” ad un webinar che si terrà il giorno 3 Dicembre dalle ore 16 alle ore 16,30. Chi fosse interessato a partecipare al webinar può scrivere all’indirizzo:

contact@shopperteam.it

https://www.linkedin.com/company/69492873

L’equity della marca in funzione delle scelte dello shopper

Il punto di partenza: una persona acquista un prodotto se gli riconosce valore. Più il prodotto vale, ovviamente in termini relativi, più si è propensi ad acquistarlo.

La Brand Equity, ovvero il valore della marca, è, almeno secondo Kevin Keller, l’effetto differenziale delle attività di marketing sulle marche stesse. Differenziale perché azioni diverse producono risultati differenti sulle varie marche in uno stesso mercato.

Il punto di arrivo: la scelta dello shopper, ovvero ciò che avviene quando siamo davanti allo scaffale e dobbiamo decidere l’acquisto. In questi pochi secondi (4 in media) si scarica tutta l’attività di marketing delle aziende e qui, proprio al momento della scelta, si misura il valore della marca, ovvero la sua capacità di creare nello shopper la sensazione di aver ottenuto più del prezzo pagato.

E’ quindi della massima importanza misurare l’equity della marca sullo scaffale nella relazione con lo shopper. Bisogna aver ben chiaro il valore della propria marca rispetto ai concorrenti, ma non solo, è necessario capire come gli shopper attribuiscono valore alla marca in diverse categorie (pensiamo alle extention line), come si sviluppa il valore nel tempo, da cosa è influenzato, quali attività accrescono più di altre il valore.

Il valore andrebbe misurato in diversi momenti del ciclo di vita del prodotto, quando nuovi competitor entrano nel mercato, prima di apportare cambiamenti importanti alla marca, prima di lanciare nuovi prodotti…Insomma, considerando che le aziende sono enti economici che hanno lo scopo di creare valore, e che le marche sono moltiplicatori di valore, non misurare l’equity in store è una eresia.

Bisogna considerare la quota di mercato, per tenere conto delle relazioni competitive, ma soprattutto avere dati quantitativamente molto robusti sullo shopper: come si orienta, da cosa è attratto, cosa considera, cosa compra. Tutte queste variabili devono essere considerate in un modello che produca un indice semplice che consenta il confronto fra marche in una o più categorie. I dati raccolti da Dialogica su più di 17 milioni di shopper nei PdV, davanti a scaffali e extra display, offrono la più ampia base dati per il calcolo dell’equity e il confronto con i competitor.

Tempo di rinnovi: vogliamo misurare cosa funziona davvero?

Questo è l’anno dell’efficacia e dell’efficienza. Dobbiamo sviluppare azioni che portino risultati (efficacia) con il minor investimento possibile (efficienza). Insomma, l’anno del miglioramento.

Da dove partire? Dallo shopper, ovviamente. Nella trattativa con i retailer per i rinnovi contrattuali invitiamo lo shopper, vediamo chi è, come si muove nel punto vendita, cosa lo stimola, lo attrae, lo invita a valutare i prodotti e magari a comprarli.

Dobbiamo avere delle indicazioni, ovviamente in media e per macro categorie (Alimentare, Beverage, Pulizia casa…) su cosa funziona davvero: ad esempio, un display promo, una testata, un Cooler, in che zona del punto vendita ha maggiori probabilità di essere visto? In pratica, dobbiamo sapere le zone calde e fredde dei PdV, avere delle indicazioni su quanto una esposizione attrae gli shopper: se lo shopper non vede i prodotti sicuramente non li comprerà.

Capiamo poi quali possono essere i driver espositivi “forti”: la posizione? Il numero di facing? La rilevanza della marca?

Analizziamo casi di successo e insuccesso.

Misuriamo l’effetto comunicativo sul punto vendita: quanta pressione comunicativa produce una testata di gondola? Quanta uno scaffale? Un Cooler? Un’avancassa?

Negli anni abbiamo raccolto dati su più di 28 milioni di shopper nei punti vendita: di questi ne abbiamo seguiti più di 17 milioni davanti agli scaffali e nei fuori banco.

Sappiamo quanti sono transitati davanti ai prodotti, ai display fuori banco, alle testate, ai cooler, alle avancasse (anche self). Di tutte le postazioni conosciamo l’attrattività, ovvero quanto attirano gli shopper, quanti li guardano.

Possiamo fornire un ranking delle posizioni per efficacia. I dati possono fornire importantissimi insight da sfruttare nella trattativa per il rinnovo, per ottimizzare la presenza in store e gli investimenti.

Quanto incide la dimensione dello store sul sell-out?

Il lockdown ha sviluppato nuove sensibilità: sempre più aziende ci chiedono di concentrare le analisi sui supermercati, mentre fino a qualche mese fa il focus era totalmente sugli Iper.

La pandemia ha portato alla ribalta la “panza molle” della distribuzione: i supermercati che per numerica e frequentazione la fanno da padrone. Ci si rende conto dell’opportunità, ma come coglierla? Presidiare migliaia di punti vendita è un lavoro improbo ed economicamente massacrante. Come ottimizzare? Da dove partire per migliorare?

Noi possiamo dare un piccolo contributo alla riflessione, riportando un caso, giusto per far riflettere. Ci chiediamo se vi sia una correlazione fra dimensioni/traffico dello store e sell-out. In pratica, se entra più gente in un punto vendita, significa che si venderà di più?

Confrontiamo due store della stessa catena, scelti volutamente nella medesima area geografica:

Notiamo subito che lo store B nel periodo considerato (qualche mese, extra lockdown) ha avuto un traffico superiore del 20 % rispetto allo store A e addirittura il 96 % in più di traffico in corsia (nel PV B la corsia era attaccata all’area promo). Il calo avviene davanti allo scaffale, specialmente quando lo shopper si trova a decidere se e cosa acquistare (cioè quando guarda i prodotti). Al momento della scelta la percentuale di shopper rispetto agli ingressi del PV si equivale (anche se in termini assoluti il PV B ha numeri superiori).

Il calo si ha con l’interazione (tocco i prodotti) e soprattutto con l’acquisto. Il PV più trafficato (e più grande) vende meno pezzi (ovviamente a parità di attività promo).

In pratica, nel secondo PV si genera più traffico in corsia dato che questa è in una posizione migliore, dove transitano più shopper, una zona “calda”. Ciò non ostante il vantaggio di posizione non si tramuta in maggiore sell-out. Da cosa dipende? Da una peggiore gestione dello scaffale nel PV B, da una inadeguata esposizione delle marche leader (che fungono da attrattore), da un tasso di fuori stock più elevato e, non ultimo, da una presenza maggiore di anziani (che non sono l’acquirente tipo della categoria).

In pratica, ancora un gran lavoro da fare sulla categoria e sul presidio. Quindi, capire le criticità, individuare le azioni di miglioramento, controllare i risultati partendo dai PV più potenziali.