I contributi alla GDO sono sempre giustificati? Il giuoco vale la candela? Spendiamo il nostro budget nel modo migliore?

Affrontiamo il tema della valutazione oggettiva delle richieste di contributi provenienti dal trade per attività di comunicazione di vario tipo.

Per capire se una azione, un volantino, una testata, un fuori banco, una campagna in radio o TV in store produce un risultato in termini di comunicazione dobbiamo misurare in modo oggettivo quanti consumatori raggiunge.

Ogni richiesta, che porta con sé un costo, deve creare valore (ottengo di più di quello che pago). Empiricamente sappiamo che queste attività dovrebbero facilitare il sell-out. Come? Quali sono più efficaci? In quali periodi? Sappiamo anche che la comunicazione in store è efficace perché fatta in prossimità della decisione d’acquisto. Buona comunicazione, buon effetto, cattiva comunicazione, cattivo effetto. Fin qui tutto chiaro: ma siamo in grado di rispondere in modo oggettivo (anche al controllo di gestione…) a queste domande?

Il contributo economico che il retailer richiede è equo? Garantisce cioè, in termini comunicativi, un ritorno positivo?

In pratica, pago il giusto o pago troppo per quello che sto ottenendo?

Qual è l’attività comunicativa con più ritorno? Una testata di gondola, un display, un volantino, una campagna di radio o TV in store?

Qual è il mix di attività che produce maggior valore?

Possiamo sapere a priori, cioè prima di effettuare l’investimento, se una richiesta del trade è economicamente giustificata?

Quanto valore produce rispetto al costo sostenuto?

Abbiamo mappato più di 15 milioni di shopper e sappiamo dove vanno nei punti vendita, quanto ogni forma di comunicazione è stata guardata, per quanto tempo: possiamo quindi calcolare l’impatto di ogni azione calcolando il valore.

Tutto fatto su dati esistenti, quindi nessun altro intervento nei punti vendita: se è richiesta una verifica on-field attiviamo i supermercati nostri partner.

Semplice, efficace, utile, economico.

Quanto valore reale creiamo investendo nei punti vendita?

Investire dove avviene l’acquisto sembra un’ottima idea. Una buona presenza della marca (in un prossimo blog daremo anche il valore delle marche in-store) al momento della scelta è uno dei must dello shopper marketing.

Durante la crisi, e ora che il peggio è passato, molte aziende stanno aumentando la pressione comunicativa negli store. La necessità impellente è la ripresa immediata dei consumi, quindi molti budget stanno affluendo al punto vendita. Budget che devono sempre più essere valorizzati nel modo migliore: si deve investire dove si riesce a creare maggior valore.

Dal trade organizzato arrivano richieste pressanti per contributi di marketing, che esulano dalla scontistica o dai vari premi: volantini, radio in store, Tv nei punti vendita ma anche cartelli, fuori banco… Costi elevati a fronte di quale valore? Non solo, quanto vendo in più, ma quanta pressione e valore di comunicazione riesco a generare con gli investimenti in-store? Ancora, posso paragonare gli investimenti in store ad altri media, in modo tale da poter decidere dove il budget produce più valore?

Le attività di comunicazione agiscono sull’equity della marca, quindi generano un valore di marketing molto rilevante (e di lungo periodo); sono quindi veri e propri investimenti sul futuro. Quanto valgono? Perché non quantificarli?

Proviamo a dare i numeri. La base di tutto consiste nella misurazione su un ampio campione di punti vendita in diversi format della presenza degli shopper ove è esposta la comunicazione. Questo serve per calcolare la pressione comunicativa. Bisogna poi assegnare un valore, un delta che premi le forme di comunicazione più efficaci, cioè quelle che attirano di più. Anche in questo caso è necessario avere i dati di efficacia della comunicazione. E’ ciò che abbiamo fatto mappando, su una base di 15 milioni di shopper raccolti negli ultimi anni, le forme di comunicazione e la loro attrattività.

Proviamo a misurare il valore di diversi media estraendo alcuni dati dal nostro database relativi ad una rete di supermercati:

  Vendite valore   MKT Value
 Scaffale        111.500        117.716
 Floor stand        148.900        181.900
 Radio              8.672
 Volantini            62.507
 Totale        260.400        370.795

Consideriamo un prodotto leader della categoria: nei 30 giorni considerati le vendite in valore sono state pari a 260.400 €. Abbiamo valorizzato il contributo di comunicazione dell’esposizione a scaffale, di un fuori banco (floor stand) di una campagna radio e di un volantino. Il totale venduto + marketing ammonta a 370.795 euro: il 70 % del valore complessivo proviene dalle vendite, il 30 % dal marketing.

In generale, confrontando il costo sostenuto per la somma delle attività e il valore di marketing prodotto, senza considerare le vendite, si genera un ROI assai positivo (+ del 50 %). Se si dispone degli strumenti corretti per valutare l’investimento in-store ex-ante (ovvero quando arriva la proposta del retailer) si può valutarne la convenienza, che, come in questo caso può essere decisamente alta!

Quanto vale la comunicazione in store?

La domanda non è peregrina se, come pare, il 70 % delle decisioni d’acquisto avviene all’interno dello store. Quindi, la comunicazione deve creare valore ed essere massimamente efficace perché prossima (quindi influente) all’acquisto. Ma quanto vale la sola presenza del prodotto a scaffale? E una testata di gondola? Un fuori banco, un volantino? Si badi bene, quanto vale non quanto costa! Differenza fondamentale. Tutti sappiamo cosa costa la presenza su un volantino, dato che paghiamo cifre profumate per far comparire il nostro prodotto. Nella maggior parte dei casi non sappiamo però che valore produce, ovvero cosa otteniamo in cambio della somma pagata. In generale si sa che i volantini aumentano le vendite, come le testate, una buona posizione a scaffale, molti facing. Torniamo però alla questione di base: la comunicazione sul punto vendita deve generare valore per facilitare la vendita. La comunicazione che crea valore deve essere visibile, attrattiva, facilmente riconoscibile e decodificabile, semplice, comprensibile. Come sempre il fulcro è lo shopper, ovvero colui che acquista. Per capire il valore (e non il costo) di ogni attività in store è quindi necessario misurare l’incontro che lo shopper ha con ogni forma di comunicazione di una marca in uno store (usiamo volutamente questa parole per non incorrere nell’errore semantico del punto vendita, visione tipica (miope) dell’industria che ha come scopo vendere; ben più corretto sarebbe, in una vera ottica di shopper marketing, parlare di luogo di acquisto (ottica del cliente)).

The Valuehub, società spin-off di Dialogica specializzata nella valorizzazione delle attività di comunicazione, con particolare focus sul below-the-line, ha sviluppato la metodologia Store Media, un modello che attinge dalle misurazioni di Dialogica sulla quantità e i comportamenti di più di 15 milioni di shopper in iper e super mercati. I dati sulla presenza, l’attenzione, l’attrattività, sono utilizzati per misurare (attingendo anche a valori economici e comunicativi di media tradizionali calati nella realtà degli store) l’efficacia comunicativa, partendo dalla semplice presenza del prodotto a scaffale, considerando fuori banco, cartelli, pendagli, espositori, volantini. In pratica Store Media offre le risposte ad alcune domande che il trade e il consumer marketing si pongono: la richiesta del trade (costo) è giustificata, produce cioè più valore di quanto costa? Qual è il ritorno sull’investimento delle attività in store, al di là della vendita potenziale? Più comunicazione e più efficace aumenta il sell-out?

L’analisi è svolta ex-ante, attingendo ai 15 milioni di casi del database Dialogica a cui può seguire l’analisi in-store utilizzando i supermercati reali per la verifica dei risultati.