Che succede se lo stesso prodotto è inserito in due diverse categorie?

L’innovazione di prodotto, con nuove varianti salutistiche, “green”, light, pone spesso agli uomini di marketing alcune domande la cui risposta, all’atto pratico non è sempre facile. Supponiamo di avere sviluppato una nuova merendina, senza glutine, senza zucchero ma, grazie alla formula, particolarmente gustosa. Dove posizionarla? Nello scaffale delle merendine o in quello dei prodotti dietetici? Con quali vantaggi in volume e con quali conseguenze per l’immagine di marca?

Proponiamo, come sempre, un approccio pragmatico. Un caso che abbiamo seguito. Abbiamo inserito in sequenza il nuovo prodotto nella categoria tradizionale, per circa 9 settimane. Lo abbiamo poi spostato nello scaffale “test”, ovvero in una categoria affine per momento di consumo ma diversa per vissuto di prodotto.

Iniziamo ad analizzare la quantità di shopper davanti alle due categorie:

In modo inaspettato, la categoria test, che produce un sell-out molto superiore della tradizionale (+ 140 %) ha un numero di shopper potenziali, ovvero coloro che arrivano davanti allo scaffale e guardano i prodotti, maggiore del 17 % rispetto alla categoria tradizionale. In pratica, meno presenze, meno potenzialità di vendita ma più volumi, più vendite multiple. Più shopper davanti ai prodotti: più convertion? Nella categoria tradizionale il 42 % delle interazioni (ovvero i prodotti toccati) si trasformava in acquisto. Nella categoria test l’indice calava al 25 %. Più gente, più vendite multiple ma decisamente più dispersione nella categoria tradizionale.

Più shopper equivale a più attenzione? Nella categoria tradizionale il prodotto attirava il 72 % degli shopper, in quella test l’81 %. Nove punti in più, che tradotti in numero di shopper equivalgono a 2.000 shopper medi per settimana.

Ciò che rende realmente il prodotto una SKU da categoria test è la rilevanza, cioè un indice da noi calcolato che permette di misurare quanto un prodotto attrae e interessa gli shopper. L’indice per il prodotto risulta doppio nella categoria test rispetto alla tradizionale. Quindi, lo shopper riconosce la categoria test come la “casa” del prodotto: il suo positioning è decisamente allineato alla categoria test.

Ovviamente tutto ciò si trasmette alla scelta del prodotto da parte degli shopper: il sale index, ovvero il tasso di acquisti degli shopper, in pratica la preferenza, considerando 100 shopper che guardano i prodotti, passa dallo 0,3 % (tradizionale) al 2,3 % (Test).

I mercati post Covid

Quando le regole del mercato si stravolgono, come è successo con l’epidemia Covid, le elaborazioni di scenari per la ripresa diventano molto difficili.

Nessuno strumento analitico, dato che tutti si basano su serie storiche, riesce a elaborare scenari o previsioni dato che le premesse sono stravolte: il domani non sarà un effetto di ciò che è accaduto ieri.  In questo caso l’esperienza umana sconfigge le macchine (un’altra bella lezione di questa crisi).

La situazione attuale, a differenza di precedenti crisi (vedi 2008) è causata da un cambio radicale nei paradigmi di consumo: la dimensione più/meno è fuorviante, o perlomeno limitante per definire gli scenari futuri. E’ prevalsa la diversità: differenti abitudini hanno imposto, o sollecitato, diversi comportamenti di consumo, anche in categorie FMCG, che hanno subito meno di altre l’effetto della crisi.

Una recente analisi di Mediobanca riporta che la GDO ha aumentato i volumi del 9,1 % e i profitti del 34,1%.

I consumatori hanno acquistato di più e a prezzi più alti. Le attività promozionali sono sparite e ciò nonostante le vendite sono cresciute: la necessità (o il timore, spesso irrazionale) ha prevalso sulla convenienza?

Una quota elevata di shopper ha utilizzato, forse per la prima volta, la spesa on line o il click & collect. I prodotti d’impulso hanno sofferto, non solo per la minore coda alle casse dei supermercati, ma anche per la crescita delle vendite on-line. Cosa succederà alla fine della crisi?

Insomma, l’epidemia ha dimostrato una cosa che gli studiosi di marketing conoscono bene: l’essere umano è il vero fattore decisivo. Un cambiamento, anche per periodi tutto sommato brevi, nei bisogni, negli atteggiamenti, nei comportamenti, può produrre risultati dirompenti nei mercati.

Gli shopper, nella fase 2, stanno ritornano ai loro vecchi comportamenti? I dati da noi rilevati riportano un aumento del traffico negli store a partire dalla fine di aprile: durante gli ultimi due mesi avevamo assistito a picchi improvvisi di shopper davanti agli scaffali, sintomo di scorta. Dalla fine di aprile si nota un trend crescente in modo più lineare: si sta tornando lentamente a fare la spesa, anche in coppia. Alla crescita delle presenze non corrisponde un aumento proporzionale del sell-out. Perché?  Più gente non equivale a più acquisti. Il fenomeno andrà approfondito con grande attenzione viste le rilevanti conseguenze su categorie e marchi.

Covid 19: vince la promozione o la necessità? uno stimolo per riflettere

Mentre analizzavamo i dati pre e durante l’epidemia, abbiamo notato un fenomeno particolare. In super store (2500/3000 mq) in aree urbane, quindi sempre aperti, abbiamo potuto analizzare l’effetto sugli acquisti di una attività promozionale nazionale, dal 6 al 20 febbraio, e l’effetto Covid a partire dalla fine di febbraio.  Promo molto importante per portata (molte referenze) e taglio prezzo (40/50%).

Dove sta la particolarità? Primo, il numero di ingressi negli store (media settimana) durante la promo era di circa 18.000 shopper. Nella prima settimana di “Covid” (24 febbraio) il numero scende a 17.000, per arrivare a 18.500 nella successiva e a 23.000 nella settimana dal 9 aprile. Poi crollo a 10/11.000 ingressi nelle settimane successive.

Durante le settimane promo si vendono in media 3.000 confezioni a settimana che calano a 2.500 a inizio epidemia, a 2.200 nella prima settimana di aprile per consolidarsi a 1.300/1.400 nelle settimane successive.

Acquisti medi: 2,95 pezzi durante la promo, 2,14 l’ultima settimana di febbraio poi a salire, fino a 3,3 pezzi per shopper.

Gli spunti per riflettere: la dinamica delle presenze in store va analizzata in dettaglio perché, come si vede, il dato medio di un certo periodo (ad esempio tre settimane prima della crisi e tre dopo l’inizio) è fuorviante.

Il sell-out, se preso in totale, non rappresenta un indicatore adeguato: racconta un effetto ma non le cause.

Lo shopper è il vero elemento determinante: ciò che si modifica in modo evidente, e rappresentativo del cambio di paradigma, è l’acquisto medio di coloro che sono arrivati allo scaffale, hanno guardato e acquistato i prodotti.

Ultima , ma non indifferente informazione: di fatto lo shopper sta comprando di più e A PREZZO INTERO, spinto dalla necessità (timore, ansia, l’atavico arraffare italico…). E non poco: gli acquisti medi crescono dell’11,9 % in volume nella settimana di picco Covid rispetto alle settimane promo.

In pratica, più vendite e margini per retailer e imprese: ciascuno tragga le sue conclusioni.