Sprecare opportunità: i Fuori banco che non producono valore: il caso del caffè

Insieme a Immediando abbiamo concluso una verifica delle tipologie di FB della categoria Caffè (Display cartone/legno, Testate di gondola, Cravatte…) e la loro posizione all’interno di Super e Ipermercati.

Abbiamo poi correlato i dati di posizione con il nostro database che riporta analisi di efficacia della posizione misurando il numero di consumatori che hanno guardato i diversi display e il fatturato specifico che gli stessi hanno generato.

Abbiamo prodotto una mappa di efficacia (sotto un estratto):

L’analisi ha evidenziato che circa il 30 % delle posizioni/tipologie produceva risultati (interesse degli shopper + sell-out) decisamente inferiori alla media.

In pratica, una fetta consistente di opportunità perdute.

Le azioni da intraprendere per migliorare i risultati: misurare i risultati delle tipologie di display di una specifica marca (il valore della marca è direttamente proporzionale a quanto un display attrae i consumatori) in diversi store format scindendo l’effetto creatività, tipologia di display e posizione. In questo modo si negoziano le posizioni, conoscendone l’efficacia, si controlla l’effettiva presenza in store e si conosce il vero ROI dei FB.

La scelta dello shopper è il vero vantaggio competitivo della marca (anche verso i retailer)

La conclusione dell’acquisto è la scelta finale dello shopper, ovvero il prodotto che mette nel carrello.

Il prodotto deve essere guardato, toccato e forse comprato.

Il totale delle interazioni (toccato + comprato) è il potenziale del prodotto.

Le vendite (27 pcs.) sul totale interazioni (toccato + comprato – 45 pcs)

La percentuale di acquisti (Venduto = 60 %) misura la vera preferenza degli shopper. La percentuale che non diventa acquisto (40 %) misura le vendite perse. Dobbiamo misurare questi dati per ogni SKU a scaffale per avere il vero valore assegnato dal consumatore ai prodotti.

Più la marca è scelta dagli shopper, tanto maggiore è il valore, per la marca e per il retailer. Pensiamo a due prodotti che hanno lo stesso numero di facing: se un prodotto è scelto due volte di più, la resa spazio è doppia (quindi aumenta il margine). Non è semplice rotazione, è scelta degli shopper. La differenza può sembrare sottile ma è fondamentale. La rotazione (dato rilevato alla barriera casse) è un dato “sporcato” da promozioni e fuori banco (che come sappiamo amplificano in modo “artificiale” il venduto).

La scelta dello shopper è quello che lui mette nel carrello: lo rileviamo a scaffale (poi misuriamo anche i fuori banco, ma questa è un’altra storia) e quindi sappiamo cosa vuole, cosa lo soddisfa veramente.

I risultati dell’analisi (che facciamo per i nostri clienti con benchmark i competitor) sono il vero vantaggio competitivo (difesa della marca) per la marca dato che i retailer non hanno questo dato. Non conoscono le preferenze dei loro consumatori (quindi non conoscono i consumatori).

La marca può dimostrare la necessità della presenza a scaffale dei suoi prodotti, a prescindere dalle rotazioni (che dicono pochissimo sulle preferenze dello shopper).

Può valutare oggettivamente quanti volumi dipendono dal valore della marca e quanti dalle promozioni, riuscendo a pianificare meglio i tagli prezzo e recuperando margini.

E’ una verifica fondamentale da fare ora, prima del rinnovo degli accordi, per avere dati (che i retailer non hanno) per sostenere la marca, per negoziare contributi efficaci, per contrastare richieste irragionevoli.

Raggiungere il budget soddisfacendo il cliente (e non il buyer)

I prossimi tre mesi decideranno i risultati di quest’anno, ancora confuso e con non poche incognite. Secondo ISTAT la crescita della GDO a giugno supera il 3 %, quindi buone prospettive.

Si tratta di consolidare i risultati cercando di produrre valore per i consumatori, al di là delle richieste del trade, che spesso non sono legate a effettivi vantaggi per gli shopper.

Ogni richiesta, che porta con sé un costo, deve creare valore (ottengo di più di quello che pago). Empiricamente sappiamo che le azioni in store dovrebbero facilitare il sell-out. Come? Quali sono più efficaci? In quali periodi? Sappiamo che la comunicazione in store è efficace perché fatta in prossimità della decisione d’acquisto. Buona comunicazione, buon effetto, cattiva comunicazione, cattivo effetto. Fin qui tutto chiaro: ma siamo in grado di rispondere in modo oggettivo a queste domande?

Il contributo economico che il retailer richiede è equo? Garantisce cioè un ritorno positivo?

Che tipo di valore, al di là di uno sconto (valore è ciò che ottengo, prezzo è ciò che pago), produce per lo shopper della mia marca?

Pago per fare ciò che il mio consumatore si aspetta o sto solo elargendo contributi a pioggia, magari pagando troppo per quello che sto ottenendo?

Qual è l’attività comunicativa con più ritorno? Una testata di gondola, un display, un volantino, una campagna di radio o TV in store?

Possiamo sapere a priori, cioè prima di effettuare l’investimento, se una richiesta del trade è economicamente giustificata e produce valore per il mio consumatore?

Il solo modo per avere le idee chiare, quindi attivare azioni efficaci ed economicamente sostenibili, è seguire i consumatori nel loro processo di acquisto in store.

Nel nostro panel di supermercati e ipermercati abbiamo misurato il comportamento di 25 milioni di shopper e sappiamo dove vanno nei punti vendita, cosa fanno, quali attività li influenzano, siano esse promozioni o azioni di comunicazione, abbiamo dati certi sull’efficacia di volantini e fuori banco. Calcoliamo l’impatto di ogni azione misurando il valore.

Informazioni vitali non solo per chiudere l’anno ma anche per il rinnovo dei contratti con la GDO.