Acquisti di impulso e avancasse

Avancassa è spesso sinonimo di acquisto di impulso sia per la collocazione nel punto di vendita sia per la tipologia di prodotti esposti. La sua funzione è quella di invogliare lo shopper a compiere uno o più acquisti “extra” prima di lasciare il punto di vendita. Potrete quindi intuire come quest’area racchiuda grandi potenzialità, di cui però molto spesso poco si conosce.

Dialogica si è dedicata per tre anni consecutivi ad una costante attività di monitoraggio del comportamento e delle attitudini di acquisto dello shopper in avancassa. Ci siamo basati su un campione complessivo di quasi 8,5 milioni di acquirenti, e abbiamo raccolto dati al fine di trovare la struttura espositiva e assortimentale più efficace.

Abbiamo scoperto che il profilo dell’acquirente medio è prevalentemente maschile, con tempi di permanenza e attenzione tendenzialmente superiori a quelli femminili; gli acquisti medi dei maschi sono superiori a quelli delle donne e concentrati soprattutto nei weekend.

I fattori che impattano in maniera decisiva sulle vendite sono la collocazione della cassa, l’altezza dei ripiani (quelli più alti rendono chiaramente di più), l’attrattività del planogramma, l’assortimento e il prezzo.

Nel periodo di analisi abbiamo testato diverse tipologie di planogramma e assortimento. I dati hanno premiato la configurazione di scaffale più semplice, e con una migliore visibilità delle marche. Qui un esempio di confronto display.

Nonostante il calo di traffico (dovuto anche all’inserimento delle casse self-service), gli shopper sono risultati più attratti dall’esposizione e la loro attenzione si è più facilmente convertita in acquisto.

Come in altri casi, la chiarezza espositiva e la forza del brand hanno generato più vendite.

Ci sarebbe molto da fare per migliorare e ottimizzare questa zona del punto di vendita. Gli acquisti di impulso risultano in calo: secondo Recode, le vendite di chewing gum hanno subito una flessione del 15% proprio a partire dal 2007.

Altre nubi potenzialmente offuscano il futuro delle barriere cassa: pensiamo all’innovazione che Amazon sta portando non solo nel negozio virtuale, ma anche in quello fisico. E AmazonGo ne è il primo esempio, con il suo concetto di “no lines no checkout”.

Per alcune categorie merceologiche il 92% degli acquisti proviene da questa posizione del punto di vendita, e solo l’8% dal banco. Verrebbe quindi da chiedersi: quale sarà il suo destino? Come trasformare quella che di primo acchito sembra essere una minaccia in una opportunità di crescita?

Quale è l’effettiva visibilità del mio prodotto nel punto di vendita?

Oggi parliamo di fuori banco e isole promozionali, altra voce di forte investimento da parte delle aziende per far uscire dagli scaffali il prodotto ed aumentare la sua visibilità.

Non sempre, il fuori banco si accompagna ad una iniziativa di taglio prezzo; potrebbe essere usato per vendere un formato alternativo a quello proposto a scaffale, per far conoscere un prodotto in lancio, per dare spazio ad attività promozionali diverse dal solito cut price (come concorsi a premi e raccolte, buoni sconto e campioni gratuiti) che mirano anche a fidelizzare il cliente.

Sicuramente è noto il costo dell’attività, molto meno il suo rendimento.

Come abbiamo già fatto per le promozioni, ci domandiamo: conosciamo l’effettivo ritorno di queste attività? Se sì, quali sono gli indicatori su cui basarsi per stabilire se hanno avuto successo o meno?

Negli anni noi di Dialogica abbiamo sviluppato degli indici di performance che permettono di misurare la resa delle esposizioni, sia a scaffale che in fuori banco, e di confrontarle fra di loro, non solo relativamente alle vendite in più generate, ma anche in termini di ingaggio dello shopper.

Qui un esempio di confronto fra un’esposizione in display ed extra display (i valori riportati sono medi settimanali per il periodo di monitoraggio):

Display: 2 posizioni differenti dell’aisle

Extra display: 1 posizione in testata di gondola e 1 in area casse

Gli indici da noi riportati ricostruiscono il processo di funnel (se desiderate un approfondimento, vi invitiamo a scaricare il nostro glossario di shopper marketing): quante persone sono transitate nella zona di interesse (Traffico)? Di queste quante hanno prestato attenzione all’esposizione (Attraction)? Per quanto tempo hanno osservato (Attention)? Quale è il livello di interesse finale generato dal prodotto o dalla esposizione (Relevance)?

Leggendo questi dati, possiamo stabilire se il prodotto lavora meglio a scaffale o in fuoribanco, e in quale posizione dell’uno o dell’altro è meglio collocarlo per rendere il nostro investimento più produttivo.

Stando agli esempi riportati, osserviamo che il lato destro dello scaffale gode di un maggior transito, ma performa meno in termini di ingaggio dello shopper: una zona di puro passaggio, in cui c’è minore disponibilità ad osservare il prodotto e ad interagire con esso. Quindi crea meno opportunità di vendita.

Il fuori banco collocato in prossimità della barriera casse (non è un rack da avancassa) mostra indici di performance lievemente superiori rispetto alla testata.

Il caso apre una questione: quando allochiamo le risorse su questo genere di attività, lo facciamo in maniera corretta, basando le nostre decisioni su una precisa mappatura del punto di vendita?

Nella prossima puntata parleremo ancora di fuori banco, per confrontarli con le attività promozionali tradizionali. Quale rende di più?

Tempo di attenzione: il falò del budget di marketing in 4 secondi

Lo scopo del marketing e della comunicazione è quello di portare il cliente al negozio dove avviene, in buona parte, la decisione d’acquisto. Gli shopper, noi stessi, siamo ampiamente influenzati da tutto ciò che esperiamo nel punto di vendita: la gradevolezza dell’ambiente, l’arredamento, i colori, la gentilezza e competenza del personale…

Mediamente, uno shopper sosta davanti allo scaffale per 15 secondi e dedica 4 secondi all’osservazione dei prodotti. In un tempo brevissimo quindi si consuma la decisione d’acquisto.

Il punto di vendita è un vero e potente media. Oggi, l’importanza e la rilevanza della marca è in calo, accediamo a centinaia di canali televisivi, radiofonici, siti, newsletter, blog, social networks. Nel passato era invece abbastanza comune scegliere un prodotto, una marca, e restarvi fedele per molti anni, a volte per sempre. Non vogliamo affermare che le tribù che si aggregano e riconoscono attorno ad un brand, pensiamo ai fan di Harley Davidson, Apple, Nutella, Coca-Cola, siano sparite. Anzi. E’ però vero che al di là di alcuni, pochi eletti, la competizione si svolge in modo spietato specialmente nel negozio (reale e virtuale) dove effettivamente si decide, influenzati dalla shopping experience, dal luogo, dalle promozioni, dalla comunicazione, dal contesto.

Non solo il cosa si compra ma anche come si compra. Lo shopping è un fenomeno sociale e, come ben sappiamo, i nostri comportamenti sono assai influenzati dal contesto. Con chi stiamo facendo shopping? Siamo soli? Stiamo facendo la spesa al supermercato con nostra moglie? Stiamo andando con un amico a comprare un regalo? Per chi lo stiamo facendo? Per noi stessi, per un amico, per nostro figlio, per la moglie?

Tutti connessi? E il mondo reale?

E’ un bel interrogativo quello che vi proponiamo oggi: è una domanda impegnativa e di ampissimo respiro! Per questo vi proporremo il nostro punto di vista limitatamente a ciò che è di nostra pertinenza, ovvero il mondo del marketing, e in particolare quello delle ricerche shopper, di cui ci occupiamo direttamente.

Innanzitutto alcuni dati: Facebook ha raggiunto i 28 milioni di utenti mese in Italia, in pratica il 46,6 % della popolazione. Il tempo speso sui social media è di due ore, leggermente in calo rispetto a due anni fa (2,5 ore), ma è comunque significativo. Dati impressionanti che sicuramente fanno riflettere.

Un paradosso: si rincorre internet, non se ne può più di parlare di millennials  e si perde d’occhio colui che mantiene ogni azienda: lo shopper, quel signore/signora che ogni giorno allunga la mano e mette nel carrello proprio quel prodotto.

Pochissimo si sa del “gesto” finale, del momento in cui davanti al prodotto si compie la scelta. Ed è un male, dato che dal gesto dipendono non solo la quota di mercato ma soprattutto la sopravvivenza della marca/azienda nel lungo periodo. La mano è mossa dal prezzo? Dalla Brand awareness? Dalla attrattività del prodotto? Dalla rilevanza?

Lo scopo del marketing e della comunicazione è quello di portare il cliente al negozio, e, ormai, la decisione d’acquisto avviene per lo più nel negozio (per approfondire il tema vi rimando al mio libro “Shopper Marketing. Dall’intenzione all’acquisto”).

Gli esperti del settore possono portare un cliente al negozio, ma è il negozio stesso, alla fine, che fa sì che un atto potenziale si trasformi in un fatto: dalla intenzione all’acquisto e da questo, magari, alla fedeltà.

A partire dal 2009 abbiamo misurato più di 1,1 miliardi di consumatori e shopper: più di 76 milioni in stazioni, aeroporti, 12 milioni di shopper (acquirenti potenziali ed effettivi, comunque tutti esposti ai prodotti davanti a scaffali e fuori banco) in Iper, Super, negozi tradizionali, luxury, automotive, 10 milioni di italiani che hanno partecipato ad eventi in piazze, fiere, centri commerciali….

Tantissimo materiale dal “mondo reale” ovvero dall’ “oceano blu” a disposizione (ancora…per quanto?) di ogni azienda.