Quale è l’effettiva visibilità del mio prodotto nel punto di vendita?

Oggi parliamo di fuori banco e isole promozionali, altra voce di forte investimento da parte delle aziende per far uscire dagli scaffali il prodotto ed aumentare la sua visibilità.

Non sempre, il fuori banco si accompagna ad una iniziativa di taglio prezzo; potrebbe essere usato per vendere un formato alternativo a quello proposto a scaffale, per far conoscere un prodotto in lancio, per dare spazio ad attività promozionali diverse dal solito cut price (come concorsi a premi e raccolte, buoni sconto e campioni gratuiti) che mirano anche a fidelizzare il cliente.

Sicuramente è noto il costo dell’attività, molto meno il suo rendimento.

Come abbiamo già fatto per le promozioni, ci domandiamo: conosciamo l’effettivo ritorno di queste attività? Se sì, quali sono gli indicatori su cui basarsi per stabilire se hanno avuto successo o meno?

Negli anni noi di Dialogica abbiamo sviluppato degli indici di performance che permettono di misurare la resa delle esposizioni, sia a scaffale che in fuori banco, e di confrontarle fra di loro, non solo relativamente alle vendite in più generate, ma anche in termini di ingaggio dello shopper.

Qui un esempio di confronto fra un’esposizione in display ed extra display (i valori riportati sono medi settimanali per il periodo di monitoraggio):

Display: 2 posizioni differenti dell’aisle

Extra display: 1 posizione in testata di gondola e 1 in area casse

Gli indici da noi riportati ricostruiscono il processo di funnel (se desiderate un approfondimento, vi invitiamo a scaricare il nostro glossario di shopper marketing): quante persone sono transitate nella zona di interesse (Traffico)? Di queste quante hanno prestato attenzione all’esposizione (Attraction)? Per quanto tempo hanno osservato (Attention)? Quale è il livello di interesse finale generato dal prodotto o dalla esposizione (Relevance)?

Leggendo questi dati, possiamo stabilire se il prodotto lavora meglio a scaffale o in fuoribanco, e in quale posizione dell’uno o dell’altro è meglio collocarlo per rendere il nostro investimento più produttivo.

Stando agli esempi riportati, osserviamo che il lato destro dello scaffale gode di un maggior transito, ma performa meno in termini di ingaggio dello shopper: una zona di puro passaggio, in cui c’è minore disponibilità ad osservare il prodotto e ad interagire con esso. Quindi crea meno opportunità di vendita.

Il fuori banco collocato in prossimità della barriera casse (non è un rack da avancassa) mostra indici di performance lievemente superiori rispetto alla testata.

Il caso apre una questione: quando allochiamo le risorse su questo genere di attività, lo facciamo in maniera corretta, basando le nostre decisioni su una precisa mappatura del punto di vendita?

Nella prossima puntata parleremo ancora di fuori banco, per confrontarli con le attività promozionali tradizionali. Quale rende di più?

Uomini e donne: come cambiano i comportamenti d’acquisto?

Questo è uno dei topic più interessanti: come acquistano uomini e donne? Anche nel mondo del largo consumo ci sono differenze?
Se sì, come sono individuabili? E soprattutto come possiamo sfruttarle a nostro vantaggio per una targetizzazione migliore delle nostre attività di comunicazione?

Solitamente, nelle nostre shopper research, acquista un significato molto importante il tempo medio che uno shopper dedica all’osservazione dei prodotti, ovvero il suo tempo di attenzione. Ci siamo accorti che un tempo prolungato di osservazione non sempre denota un maggiore coinvolgimento; può anche segnalare una certa “confusione” dello shopper di fronte ad un lineare non propriamente ordinato e leggibile.

Per saperlo, dobbiamo integrare questo dato con altre informazioni che ci raccontano quanto è “attrattiva” l’esposizione… Vi raccontiamo ora un caso molto interessante che mette in luce proprio le differenze nell’acquisto da parte di uomini e donne.

Siamo nel mondo pulizia della casa. Normalmente ci aspetteremmo una profilazione dello shopper molto spostata sul target femminile… e invece scopriamo che davanti allo scaffale arriva un 49% di uomini e un 51% di donne! Praticamente i due segmenti sono equivalenti. Il comportamento però non è lo stesso… Osserviamo una prima rilevante differenza nei tempi di permanenza (ovvero quanto mediamente gli shopper sostano di fronte allo scaffale, senza necessariamente prestare attenzione ad esso) e poi in quelli di attenzione. Ecco i risultati di un periodo di rilevazione su un panel di 4 ipermercati.

Il tempo di attenzione maschile è superiore del 40 % rispetto a quello femminile. Per le donne il tempo di permanenza coincide sostanzialmente con il tempo di attenzione.

Questo è quello che di primo acchito osserviamo. Ma che cosa ci racconta il fenomeno? Da che cosa dipende il maggiore tempo degli uomini? Per guadagnare una migliore comprensione, integriamo al dato un altro indicatore: la Rilevanza. Per noi questa rappresenta il livello di Interesse suscitato da un prodotto o una categoria, la sua capacità di catturare e mantenere l’attenzione del consumatore (come sempre, vi rimandiamo al nostro glossario per un approfondimento). Ovviamente, più il livello di questo indice è alto, meglio è.

Come potete vedere, pur avendo i tempi di attenzione più alti, gli uomini risultano un po’ meno ingaggiati dalla categoria. Abbiamo quindi formulato una spiegazione: le donne, abituate all’acquisto, passano e comprano direttamente, in modo veloce, sapendo che cosa vogliono. Gli uomini, meno assuefatti alla categoria, risultano spaesati (per questo sostano a lungo di fronte allo scaffale!) e la scarsa leggibilità di quest’ultimo può solo contribuire ad aumentare la loro confusione!

Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticarci che il target maschile pesa il 49%!! Quindi, ipotizzando una configurazione di scaffale più chiara e leggibile, quante opportunità di vendita in più si potrebbero creare?

Quanti shoppers acquistano effettivamente il mio prodotto?

Bella domanda! Non è facile dare una risposta. Nemmeno i dati scanner possono rispondere esaustivamente ad essa… ovvero, noi conosciamo il risultato finale (l’acquisto), ma poco sappiamo dello shopper e di come sia arrivato ad esso.

Possiamo scoprire qualcosa di più dalle carte fedeltà? Sì e no… o meglio dipende: la carta è per uso personale, ma può essere utilizzata in realtà da qualsiasi altro membro della famiglia del proprietario. In un caso di nostra pertinenza, abbiamo comparato i numeri di genere (maschi e femmine) degli shoppers rilevati da una tecnologia di videoanalytics (collocata sugli scaffali) con i numeri riportati dai moduli delle carte fedeltà. Queste ultime tendevano a sovrastimare il target femminile (face detection: 42%; carte fedeltà: 52%).

Bene, a questo punto vi starete chiedendo: che cosa sono i sistemi di videoanalytics? Ricostruiamo brevemente la loro storia: nati agli inizi del 21° secolo per scopi militari e di sicurezza, questi sistemi sono stati adattati ad altri ambiti, in particolare il mondo marketing e comunicazione. Essi consentono difatti di misurare le audience nei luoghi pubblici (siano essi circuiti digital out of home, supermercati, negozi, fiere o eventi), e più in particolare di contare i passaggi, i viewers (coloro che hanno effettivamente osservato uno schermo, uno scaffale, un prodotto…), e di misurare i tempi medi di permanenza (quindi sosta di fronte ad una determinata postazione) e di attenzione. Tutti i dati sono poi segmentabili per genere e fasce di età.

Il match combinato fra questi dati e quelli acquisibili da un retailer (quindi dati scanner e informazioni sul planogramma) consente di ricostruire il “path to purchase”, capire il comportamento del consumatore nel punto di vendita, e quindi verificare l’efficacia dei planogrammi e delle esposizioni ai fini dell’acquisto. Siamo così in grado di rispondere alla domanda posta all’inizio dell’articolo: Quanti shoppers acquistano effettivamente il mio prodotto?

Nella nostra piattaforma, Dianalytics™, realizziamo il match fra queste diverse fonti di dati (carte fedeltà, web analytics, planogrammi, advertising…), riuscendo quindi a “catturare” lo shopper dal suo ingresso nel punto di vendita fino allo scaffale. Quello che noi misuriamo é:

  1. Store traffic: persone che entrano nel punto di vendita
  2. Aisle traffic: persone che arrivano in corsia
  3. Shelf traffic: persone che arrivano di fronte alla categoria
  4. Potential shoppers: persone di fronte allo scaffale e che osservano la categoria
  5. Actual shoppers: persone che hanno effettivamente acquistato uno o più prodotti

In un caso riguardante un brand con un’alta awareness, da noi monitorato per un periodo di 6 mesi in un panel di iper in Italia, abbiamo raccolto questi dati: più di 470.000 shoppers sono entrati nello store; 37.931 persone, ovvero il 7,4% di essi, ha osservato il brand in questione, e “solo” 794 hanno proceduto al suo acquisto, ovvero l’1,4% degli shoppers potenziali. Se si riuscisse ad alzare la sale conversion all’ 1,7%, avremmo un incremento del sellout del 13%.

Ecco che la nostra domanda diventa: come convertire gli shoppers potenziali in attuali?

Leggete i prossimi post per scoprire la risposta 😉