Più gente nei corridoi significa più sell out? Analizziamo un caso.

Proviamo ad analizzare un caso, tratto dal Database di Dialogica, che raccoglie più di 14 milioni di shopper profilati in-store per caratteristiche, comportamenti, acquisti.

In una zona di uno store monitorato per sette mesi, arriva il 42 % dei clienti. Sono presenti due strutture espositive differenti, una sulla destra, l’altra sulla sinistra. Entrambe sono food di larghissimo utilizzo quotidiano, anche se di categorie diverse (sostituibili per funzione e momento d’uso), ma comunque con brand “super”.

Alla prima struttura giunge il 27 % degli shopper, alla seconda il 15 %.  Gli shopper potenziali, ovvero coloro che prestano attenzione ai prodotti, nella prima sono il 7,4 % dei passanti, nella seconda il 5 %.

La prima vende 5,4 pezzi per shopper potenziale. La seconda 4,8 pezzi.

Stesso numero di persone nell’area, 58 % di shopper in più nella zona della struttura 1. La struttura registra, in termini reali, ovvero rispetto alle persone che la hanno guardata, il 12 % di vendite in più. L’intensity index (ovvero la percentuale di vendite in promozione) era il 33 % per i prodotti in zona 1, il 30 % per quelli in zona 2.

Stessa zona, brand parimenti potenti, ugualmente promozionati. La differenza di performance si spiega con una maggiore equity della marca e con vendite complessive della categoria (registrata in toto nel medesimo periodo) superiori, quindi maggiori acquisti.

Conclusioni; non è vero che un hot spot di uno store produce sempre gli stessi risultati. Non è sufficiente misurare quante persone entrano in un punto vendita e dove vanno. La realtà è ben più complessa delle nostre semplificazioni.

Una scommessa (vinta) sulle promozioni

Ho scommesso con mia moglie che per un anno sarei riuscito a comprare sempre il mio deodorante (Breeze neutro) in promozione. Le condizioni: comprarlo sempre nello stesso punto vendita (Esselunga), non fare mai overstocking.

Scommessa vinta: ho acquistato sempre un pezzo (tranne una volta in cui ne ho comprati 2) con uno sconto medio del 40, 50 %.

Il prezzo a scaffale è di circa 6 Euro. In media ho pagato 3,3 Euro. In un anno ho acquistato 8 confezioni. Quindi l’Azienda invece di incassare 48 Euro ne ha incassati circa 26, con una perdita secca di 22 Euro.

Sono, come si vede, uno shopper fedele e avrei acquistato comunque Breeze anche senza promozione.

Si pongono alcune questioni:

L’azienda ha fatto delle ricerche shopper misurando il tasso di fedeltà? Ha stimato la percentuale di acquirenti fedeli che comprerebbero comunque il prodotto anche a prezzo pieno? Li ha segmentati per genere, età, abitudini di acquisto? Ha mai testato iniziative rivolte ai clienti fedeli che non siano necessariamente tagli prezzo? Partendo dai risultati ha definito una strategia promozionale?

Mi capita di vedere dei questionari di interviste in-store o spese accompagnate e raramente (ma sarà un mio difetto, forse vedo solo questionari che non contemplano la verifica delle fedeltà) noto un approfondimento sui comportamenti di acquisto durante le promozioni e sulla fedeltà alla marca.

Se, poniamo, 10.000 clienti fossero come me, fedeli e soddisfatti al punto tale da comperare il prodotto a prezzo pieno, l’azienda perderebbe 220.000 Euro all’anno. Hai voglia a finanziare una ricerca shopper!

Come dico sempre agli studenti del Master, ognuno di noi ha un paniere di marche a cui è fedele e non ha alcuna intenzione di cambiare, nemmeno se ammaliato dalle offerte speciali (che poi, come abbiamo visto, speciali non sono più, vista la frequenza). Le aziende hanno ben chiaro chi sono e cosa vogliono? Non è un discorso accademico. Lo sconto ha un difetto mortale: parte dal prezzo e cala inesorabilmente sul margine.

Ernst & Young (l’immagine in evidenza è ripresa dalla ricerca) riporta fra i risultati di una ricerca condotta negli USA (2.000 promo, 14 retailer, 25 categorie) il seguente statement: “Decision-makers need access to powerful, relevant data analytics. Move beyond piloting tools and embed analytics into the fabric of the business”.

Come diceva il mio babbo: meglio arrossire prima che sbiancare dopo.

Il primo panel di punti vendita sperimentali in Italia

Fino ad ora la fase di analisi che precede il lancio di un nuovo prodotto, la revisione del packaging, la esposizione ottimale a scaffale e fuori banco, è stata condotta in laboratorio; focus group, finti supermercati più o meno attrezzati per simulare un punto vendita reale. Le metodologie fin qui usate, corrette dato che niente di meglio era disponibile sul mercato, hanno qualche limite che possiamo riassumere nel limitato numero di shopper coinvolgibili, nella impossibilità di verificare il loro comportamento in condizioni reali, insomma, nella “asetticità” che un laboratorio comporta.

Partendo da queste considerazioni abbiamo studiato il problema: abbiamo analizzato il territorio, il nostro database con più di 14 milioni di shopper profilati, verificato caratteristiche e comportamenti. Abbiamo utilizzato gli strumenti di geo marketing per evidenziare alcune zone d’Italia che potessero essere, per caratteristiche della popolazione, reddito, consumi, in linea con il totale degli italiani.

Assieme a Doxa abbiamo poi creato un mini panel di due punti vendita sperimentali che abbiamo attrezzato con tutti i sensori di Dialogica. A questo punto è possibile seguire lo shopper in tutto il suo percorso di acquisto, testare nuovi prodotti, pack, posizionamenti a scaffale e fuori banco, price positioning…nel mondo reale.

Abbiamo anche usato, come criterio di scelta la “confidenzialità”: i due punti vendita sono sufficientemente “defilati” per evitare che qualche merchandiser (della concorrenza) spii i prodotti in test.

Associamo i risultati alle interviste in store condotte da Doxa, che mette anche a disposizione un panel di shopper che possono essere coinvolti per valutare l’effetto dell’advertising e delle promozioni.

Tutti i dati raccolti sono trattati con Rulex, il sistema di intelligenza artificiale premiato dall’MIT come una delle 10 tecnologie più importanti nei Big Data. Rulex restituisce i fattori che più influiscono sulle vendite, dal prezzo, alla posizione a scaffale; ci permette di creare analisi what-if misurando il potenziale del prodotto, l’impatto sui competitors, l’effetto di diversi tipi di promozioni e esposizioni fuori banco.

I libri spariranno dai supermercati?

Mach 2, la società partecipata da Mondadori, Rizzoli e De Agostini, leader nella distribuzione di libri nella GDO è in liquidazione. Perché, in un mercato librario in crescita (+ 4 % nel 2017, per un totale di 1,15 miliardi di Euro) la vendita nei supermercati subisce un tracollo? Quattro anni fa la quota del canale GDO sulle vendite dei libri era del 20 %, lo scorso anno è scesa al 9 %.

Si sono subito alzate le voci contro la solita Amazon: oggi (2017) l’e-commerce pesa per il 21,3 % dei libri venduti; nel 2016 la quota era del 16,5 %. O si da la colpa alla legge Levi che ha ridotto al 15 % la percentuale massima di sconto sul prezzo di copertina (e ci risiamo a dare sempre la colpa al prezzo).

E’ probabilmente superficiale imputare la perdita di vendite del canale GDO all’esplosione dell’e-commerce. Forse il supermercato non è il luogo più adatto per acquistare un libro e forse la signora Maria (o il signor Mario) non sono degli assidui lettori. Se però pensiamo a come i prodotti sono considerati dalle catene, forse qualche riflessione la possiamo fare.

Solitamente nei supermercati si trova uno scaffale confuso, con libri più o meno accatastati, un assortimento caotico, presenza di qualche best seller, nessuna indicazione per la scelta da parte dello shopper, nessun suggerimento. Insomma, sembra che i libri siano “messi lì”. Certo, non è il core business del retailer ma, se vogliamo considerare che il futuro dei negozi fisici si giocherà sulla piacevolezza e “unicità” dell’esperienza di spesa, allora il “caso libri” diventa un archetipo della visione del retailer. Offerta a scaffale non esperienza (piacevole) di acquisto. Moltissime categorie vantano ancora un investimento emotivo importante, che porta con sé una “fisicità”, una scoperta, un piacere nella scelta. Vino, Birre, prodotti per l’infanzia, cosmetici…La lista è lunga come è lunga la strada da compiere per coinvolgere (e fidelizzare) lo shopper. Un esempio: mi sono più volte trovato a suggerire ai retailer alcune banalità: perché non si crea un espositore di vini bianchi vicino al banco pesce, dove consigliare vini da abbinare a branzini, crostacei, molluschi? Che tipo di vino (di birra) accompagna il Sushi? Perché le etichette di vini Bio non sono valorizzate o evidenziate e non si dà alcuna indicazione sui vantaggi e gli abbinamenti? Perché il latte è quasi sempre lontano dai prodotti per la prima colazione?

Piacere della spesa, informazione, possibilità di “provare” i prodotti, creare abbinamenti, creare cultura (del consumo, ma non solo): tutte armi (leggi vantaggi competitivi) del retailer fisico rispetto all’ e-commerce. Veder sparire i libri dai supermercati non sarebbe solo una perdita culturale (nel presupposto, magari utopico, che all’aumentare delle possibilità di accesso ad un bene la gente ne fruisca di più), sarebbe anche un’opportunità persa per riflettere sul cambiamento di paradigma (e di cultura) da parte dei distributori.

Io compro come mia moglie?

Buongiorno,

torniamo a parlare del comportamento dei consumatori nel momento topico, cioè quando, di fronte ai prodotti, devono prendere una decisione.

Riportiamo un caso nel beverage: lo scaffale è stato suddiviso in tre macro sezioni; ciascuna è stata attrezzato con i sistemi di analytics di Dialogica che captano in tempo reale il numero di shopper, li segmentano per genere e età, colgono i loro atti d’acquisto (o non acquisto).

Alcune evidenze:

Il 74 % di coloro che arrivano nel corridoio si ferma ad osservare i prodotti.

In media il 42 % delle persone davanti allo scaffale effettua un acquisto. Quindi il 58 % non acquista (Amplissimo margine di miglioramento!).

Il 61 % degli shopper sono uomini: il dato dipende dalla presenza di maschi durante il week end. Confezioni pesanti e scorta settimanale.

Il prodotto che evidenzia il sale index più alto (cioè il numero di atti d’acquisto rispetto ai clienti potenziali che sostano davanti allo scaffale) è un formato del leader: sale index uguale a 6,6.

La prima private label ha un sale index di 1,5.

Ma come si comportano gli shopper?

L’83 % acquista in 2 secondi, ovvero idee chiare, pre determinazione di acquisto di un prodotto specifico.

Gli uomini e le donne si comportano nello stesso modo?

Se correliamo il sell-out con il tempo di attenzione ai prodotti (grafico sotto) notiamo che uomini e donne hanno il medesimo comportamento d’ “impulso”: comprano in meno di 2 secondi (le donne sono più determinate…). Gli uomini poi si “impigriscono”, cioè più osservano lo scaffale e meno acquistano. C’è poi un gruppo di “indecisi” (il 5 % circa) che si ferma, osserva (per 8/10 secondi) e poi acquista. Le donne invece hanno un comportamento più lineare, tranne “stufarsi” dopo gli otto secondi di attenzione.

Morale: quante opportunità perse!!! 58 % di shopper non acquirenti, 17 % “indecisi”, comportamenti molto differenziati da approfondire, il target maschile da studiare…

Non compro come mia moglie ma quanto sono potenziale!!

La private label: al lupo, al lupo…Capitolo primo

Questo post è dedicato sia all’industria sia alla distribuzione: parliamo di Private Label, del loro posizionamento, del rapporto con le marche leader.

Abbiamo considerato due categorie nel food confezionato. Vediamo le quote di mercato:

Categoria A: Private Label: 52 %, Leader: 12 % – Categoria B: Private Label: 24 % – Leader: 32 %

Situazioni ben diverse: chi è veramente il lupo cattivo? La marca o il distributore?

Cosa determina il risultato? Ricordiamo che la quota di mercato è la sintesi, un po’ troppo semplificata, di un processo molto complesso. Proviamo quindi ad approfondire.

Analizziamo le categorie creando delle correlazioni fra le variabili rilevate da Dialogica in un campione di punti vendita (Iper + Superstore).

Categoria A

Non approfondiamo l’analisi: basti sapere che l’asse delle ordinate va da un minimo di – 1 a un massimo di + 1. Ora, la categoria è poco “calda” genera scarso interesse e coinvolgimento, i prodotti hanno un appeal limitato. La marca è poco performante, attrae di più della PL (Le prime barre – Viewer) ma “conclude poco” in termini di sell-out. Peccato, siamo in una categoria dove sia l’industria sia la distribuzione potrebbero fare molto in termini di servizio allo shopper: informazioni, caratteristiche nutrizionali, segmentazione (è una categoria in cui la quota di acquisti per il target bambini è parecchio elevata). Purtroppo, pochissima informazione, scaffale molto confuso, innovazione minima, shopper persi al momento della decisione d’acquisto. La variabile prezzo/promo prende il sopravvento e la PL la fa da padrone.

Categoria B

In questa categoria la marca coinvolge, la PL no. Si nota immediatamente il diverso livello di engagement (tutti gli indicatori del leader sono positivi: questo accade, anche se in misura meno accentuata rispetto al leader, a tutta la categoria). La categoria evidenzia, rispetto alla precedente, un’innovazione più accentuata, non solo di prodotto ma anche di esposizione, di dinamiche promozionali, e un intensity index meno elevato (anche se l’industria si lamenta…Ogni scarrafone é brutto a mamma sua!!).

Quindi: più coinvolgimento dello shopper, più opportunità per la marca, meno per la PL.

Dove intervenire? La categoria A evidenzia un Sale Index (atti di acquisto rispetto agli shopper potenziali) del 68 %, la categoria B del 24 %. La prima categoria è satura (almeno come offerta), la seconda (ad alto margine per il distributore) ha invece un potenziale inespresso. Alcuni interventi di ottimizzazione hanno portato ad un incremento del sell-out (su baseline) del 9 % nella categoria B. Come? Facendo collaborare industria e distribuzione. A furia di gridare al lupo al lupo (reciprocamente) tra un po’ il pastore perderà i suoi agnelli.

Volantini, promo, shopper che cambiano prodotti…che confusione!

Il post precedente https://dialogica.it/blog/2017/11/08/i-volantini-a-cosa-servono/, molto apprezzato (grazie), analizzava l’efficacia dei volantini in alcune condizioni promozionali. Confrontiamo ora due prodotti nella medesima categoria con quote di mercato simili: il primo brand: 4,7 %; il secondo: 4,1 %.

Apparentemente le condizioni di partenza sembrano uguali: il diavolo però si nasconde nei particolari… Un’analisi più dettagliata dal nostro database Dianalytics™ mostra che il secondo brand presenta uno shift (cioè il passaggio da un prodotto all’altro prima dell’acquisto) del 17 % (il 17 % degli shopper ha toccato il prodotto e poi ne ha acquistato un altro) mentre lo stesso KPI è uguale a 0 per il primo brand. Quindi il primo brand è “preferito al primo colpo”, attira e ha una convertion molto più efficace del secondo. Tutto questo senza promozioni. I due brand si sovrappongono?

Il modulo di cluster analysis di Dianalytics™ (che utilizza la tecnologia di machine learning di Rulex inc.) ci racconta la seguente situazione:

Fra i due prodotti si nota una sovrapposizione di acquisti nel cluster maschi adulti. Negli altri cluster la sovrapposizione è marginale o assente; quindi, in sostanza, shopper diversi.

Cosa accade durante la promo con volantino? Abbiamo analizzato la “promo 2” (vedi il post precedente) con 22 % di sconto, aumento del sell-out del 160 %.

La promo (e presumibilmente il volantino) stravolgono i cluster: crescono decisamente gli acquirenti del Brand B che si mangiano una fetta importante degli shopper del Brand A. Nei maschi adulti, grandi acquirenti del Brand A un crollo complessivo degli acquisti (ovviamente relativo rispetto agli acquisti dei restanti cluster) di entrambi i Brand. Questi signori non sono stimolati dalla promozione. Nel complesso crescono i giovani, le donne restano stabili: la quota di acquirenti del Brand B cresce decisamente nei tre cluster. Da qui il + 160 % dei volumi. In aggiunta lo shift del brand B cala di 9 punti! La promo funziona! A che prezzo? Il ROI (calcolato soltanto sullo sconto) è negativo, – 1 %!

I volantini a cosa servono?

Domanda molto “calda”, visto il proliferare di volantini, cartacei e non; si dice che il 50 % dei volantini distribuiti (ma sono solo “voci”) sia sprecata, per mala distribuzione o generale dispersione.

I volantini promozionali nella grande distribuzione sono uno strumento vitale (e assai costoso). Secondo la ricerca riportata nell’ultimo post https://dialogica.it/blog/2017/10/26/spesa-programmata-o-impulso-i-dati-di-una-ricerca/) il 15 % degli shopper consulta il volantino cartaceo (percentuale più o meno simile ai volantini on-line).

Per capire l’effettiva efficacia di una campagna e il processo corretto Dialogica ha condotto (nel 2016) un test per sei mesi considerando un prodotto (una nota marca alimentare) con diverse meccaniche:

Due scontistiche differenti: la prima (nei primi due periodi promo) del 15 %, la seconda (nei due successivi periodi) del 22 %. Da notare che il prodotto non è soggetto a particolare stagionalità.

Durante i periodi promozionali abbiamo registrato il fatto che nella prima promozione il volantino era stato distribuito con un certo anticipo (circa una settimana) prima dell’inizio della promo. Negli altri casi la distribuzione ha coinciso con l’inizio della promo.

In sintesi:

La prima promo, con sconto 15 %, non ha prodotto risultati significativi, se non un aumento del traffico in corsia (+ 8 %) che però non si è convertito in maggiore attenzione al prodotto e in incrementi di sell-out.

La seconda promo (sconto 22 %) non ha generato più traffico ma un accentuato aumento del sell-out (+ 160 %). Il ROI è stato positivo (3,78 %) e non si è registrato un effetto scorta. E’ ipotizzabile che la maggior parte degli acquisti sia stata fatta da nuovi shopper o shopper infedeli. Durante l’attività il 10 % degli shopper ha effettuato acquisti multipli. In media nei periodi non promozionali non si registrano acquisti multipli.

 

La terza promo (sconto 22 %) ha avuto una dinamica simile alla seconda, ma con un ROI minore (1,7 %) dovuto ad un calo di volumi sotto baseline alla fine della promo. Gli acquisti multipli in questo caso scendono al 4,6 %.

Sequenza delle attività

Sembra quindi che l’attività di volantino abbia effetti diversi ovviamente in funzione dello sconto ma anche della meccanica; solo in un caso abbiamo rilevato un interessante incremento del traffico nello store (+ 16 %) mentre nei restanti casi, con l’eccezione di un aumento del traffico in corsia, ma non nel punto vendita, (in occasione della prima attività) non abbiamo registrato variazioni di traffico degne di nota.

Il tema è decisamente interessante e dovrebbe essere approfondito con analisi più dettagliate: l’industria e i retailer riusciranno ad avviare una collaborazione per approfondire l’argomento?

Seconda domanda: su quali cluster di shopper le attività promozionali hanno avuto più effetto? Vi rimandiamo alla prossima puntata.

Acquisti di impulso e avancasse

Avancassa è spesso sinonimo di acquisto di impulso sia per la collocazione nel punto di vendita sia per la tipologia di prodotti esposti. La sua funzione è quella di invogliare lo shopper a compiere uno o più acquisti “extra” prima di lasciare il punto di vendita. Potrete quindi intuire come quest’area racchiuda grandi potenzialità, di cui però molto spesso poco si conosce.

Dialogica si è dedicata per tre anni consecutivi ad una costante attività di monitoraggio del comportamento e delle attitudini di acquisto dello shopper in avancassa. Ci siamo basati su un campione complessivo di quasi 8,5 milioni di acquirenti, e abbiamo raccolto dati al fine di trovare la struttura espositiva e assortimentale più efficace.

Abbiamo scoperto che il profilo dell’acquirente medio è prevalentemente maschile, con tempi di permanenza e attenzione tendenzialmente superiori a quelli femminili; gli acquisti medi dei maschi sono superiori a quelli delle donne e concentrati soprattutto nei weekend.

I fattori che impattano in maniera decisiva sulle vendite sono la collocazione della cassa, l’altezza dei ripiani (quelli più alti rendono chiaramente di più), l’attrattività del planogramma, l’assortimento e il prezzo.

Nel periodo di analisi abbiamo testato diverse tipologie di planogramma e assortimento. I dati hanno premiato la configurazione di scaffale più semplice, e con una migliore visibilità delle marche. Qui un esempio di confronto display.

Nonostante il calo di traffico (dovuto anche all’inserimento delle casse self-service), gli shopper sono risultati più attratti dall’esposizione e la loro attenzione si è più facilmente convertita in acquisto.

Come in altri casi, la chiarezza espositiva e la forza del brand hanno generato più vendite.

Ci sarebbe molto da fare per migliorare e ottimizzare questa zona del punto di vendita. Gli acquisti di impulso risultano in calo: secondo Recode, le vendite di chewing gum hanno subito una flessione del 15% proprio a partire dal 2007.

Altre nubi potenzialmente offuscano il futuro delle barriere cassa: pensiamo all’innovazione che Amazon sta portando non solo nel negozio virtuale, ma anche in quello fisico. E AmazonGo ne è il primo esempio, con il suo concetto di “no lines no checkout”.

Per alcune categorie merceologiche il 92% degli acquisti proviene da questa posizione del punto di vendita, e solo l’8% dal banco. Verrebbe quindi da chiedersi: quale sarà il suo destino? Come trasformare quella che di primo acchito sembra essere una minaccia in una opportunità di crescita?

Fuori banco o promozione semplice?

Fuori banco o attività promozionali tradizionali? Quale produce il migliore rendimento per il nostro prodotto? Abbiamo chiuso l’ultimo post con questa domanda. Oggi rispondiamo con dei casi nati proprio dalla richiesta specifica di aziende che si sono poste la questione e hanno interpellato Dialogica per individuare il mix promozionale più efficace ed efficiente.

La risposta non è ovvia. Anzi, dipende molto da caso a caso. L’appartenenza ad un determinata categoria merceologica, piuttosto che ad un’altra, può fare una bella differenza. Come pure il posizionamento del prodotto nella mente del consumatore, oppure la fase del ciclo di vita in cui si trova.

Prendersi del tempo per testare e misurare può diventare allora un fattore strategico di successo sia per aumentare le vendite che per razionalizzare l’allocazione del proprio budget.

Primo caso. Categoria di prodotti tipici da impulso. Il prodotto in oggetto di test è in fase di lancio.

Vengono sperimentate nell’arco di quasi 4 mesi tre attività: due esposizioni in fuori banco e una promo con cut price (a banco).

Il fuori banco produce in media ben 425 pezzi, mentre il semplice taglio prezzo genera una media di 200 pezzi. Il saldo di uplift (vendite in più prodotte dalla promo) e downlift (effetto calo volumi per fine della promo) è di soli 34 pezzi. Il ROI è negativo: – 0,95. Motivo? Il prodotto, di ben noto brand e sostenuto da una forte campagna di lancio, si vende da solo, almeno in questa fase. Basta farlo trovare al momento e al posto giusto.

Passiamo al secondo caso. Prodotto ad acquisto più programmato. Si colloca in una gamma alta. Il brand di riferimento gode di buona awareness. Nelle prime 2 settimane viene testata una attività di fuori banco, abbinata a cut price, segue un intervallo di pausa, e poi altre 2 settimane di semplice taglio prezzo (di cui i primi 4 giorni con presidio hostess a banco).

Nella prima attività si vendono 81 pezzi in più (uplift) rispetto alle vendite in baseline, con un ROI di 2,01; nella seconda attività si generano 143 pezzi in più, con un ROI naturalmente superiore (3,11). In questo caso, quindi, risulta più redditizia la promo tradizionale senza fuori banco.

L’analisi fatta su quello stesso prodotto aveva evidenziato come quest’ultimo fosse un “attrattore” all’interno della categoria. Lo shopper mediamente interagiva molto con esso, ma lo acquistava poco, a causa della barriera di prezzo. Nel momento in cui quest’ultimo si abbassa, il consumatore approfitta dell’offerta per concedersi il “lusso” di un prodotto di alta qualità.

Come vedete, due situazioni molto diverse fra di loro conducono a risultati altrettanto differenti. Quale è il vostro promotion mix ideale?