Il marketing e il gioco degli scacchi

Richard Feynman (Nobel per la fisica nel 1965) nel suo primo ciclo di lezioni al Caltech (California Institute of Technology) paragona la conoscenza della natura al gioco degli scacchi. Le regole di base sono semplicissime, chiunque può impararle; ciò non vuol dire che tutti poi sappiano giocarle.

La vera difficoltà, sostiene Feynman, consiste nel capire la strategia del gioco, le mosse dell’avversario con grande anticipo per strutturare a nostra volta una strategia e delle azioni vincenti. La metafora, a mio avviso, si applica al marketing. I costrutti di base, la teoria, sono facili; concetti come il brand positioning, la segmentazione della domanda, il ciclo di vita del prodotto, sono da anni insegnati nei corsi universitari e (più o meno) fanno parte del bagaglio professionale degli operatori del settore. Che dire della loro applicazione?

Il marketing non è una disciplina strettamente scientifica ma può avvalersi del metodo scientifico (come la Fisica di Feynman): osservare, estrarre delle regole, verificare le ipotesi, giungere a delle conclusioni. Nel marketing si traduce in: fare ricerche (osservare i mercati, i consumatori, gli shopper), interpretare i risultati (estrarre dai dati, dei significati e delle regole), sviluppare strategie e azioni da testare (verificare le ipotesi), e applicarle su larga scala ottenendo dei risultati.

Due domande:

  1. In quante delle vostre aziende si segue un percorso simile, rigoroso, “scientifico”, ad esempio nel lancio di un nuovo prodotto?
  2. Perché, a un anno dal lancio, la stragrande maggioranza dei nuovi prodotti non è più sugli scaffali?

Interpretare i mercati, i consumatori, i concorrenti attraverso gli strumenti del marketing, osservare il “mercato”, anticipare la concorrenza – il mantra della strategia: il primo prodotto sul mercato è quello vincente – sono vere leve di vantaggio competitivo.

Come negli scacchi, così nel marketing, il “maestro” è colui che ha imparato perfettamente tutte le regole (gli schemi di gioco, le grandi partite del passato dei sommi maestri), le ha introiettate, le ha superate (a volte le ha pure stravolte) per definire nuovi schemi, paradigmi, regole del gioco.

Vi ricorda qualcuno? Un signore che ha cambiato la vita di tutti noi? Che ha colto una mela acerba e l’ha coltivata… secondo le sue regole speciali.

The Interaction Box di Birra Peroni: l’advertising del futuro

Se siete a Roma, a Napoli o a Bari potete immergervi per la prima vola nell’advertising 3.0. firmato Peroni, con The Interaction Box, un’affissione interattiva, che, integrata con l’innovativa metodologia di Dialogica, porta nelle Piazze italiane Chef Rubio e Paolo, un vero agricoltore della filiera Peroni che svelerà segreti e curiosità della vita dei campi.

La struttura a cubo, attraverso i sensori di Dialogica (visitate il nostro sito per scoprire come funzionano)fa scorrere le immagini di Paolo ricordando giorno e ora dell’appuntamento in diretta con Chef Rubio. Le interazioni dei passanti con il cubo vengono raccontate in un video che sarà successivamente diffuso sui canali social Birra Peroni e nella sezione del sito dedicata.

Come avviene tutto questo? Grazie ai sensori dell’Interaction Box che, in tempo reale, rilevano dati e KPIs, dalle “opportunity to see” ai GRP.

Il sistema, inoltre, “triggera” i contenuti in funzione del visitatore che si presenta davanti al cubo. In questo modo la struttura genera contenuti tagliati su misura dell’utente. Ad esempio, riconosce se sono uomini o donne e in funzione di questo cambia la modalità di interazione.

Il “marketing tailor made” non solo oggi è possibile grazie alla tecnologia – e il caso Peroni lo dimostra – ma è anche efficace per ingaggiare i consumatori.

La tecnologia nei punti vendita… Attenzione

Il Wall Street Journal (clicca qui per leggere l’articolo) ha annunciato il ritardo nell’apertura al pubblico del punto vendita Amazon GO di Seattle, finora accessibile soltanto ai dipendenti.

Sembra che il ritardo sia dovuto a problemi relativi alla tecnologia. Amazon GO è il primo negozio totalmente automatizzato: lo shopper è “riconosciuto”, prende i prodotti, esce senza passare per le casse. Sembra che il ritardo sia dovuto al fatto che le tecnologie usate da Amazon creano problemi in caso di affollamento del negozio e nel tracciamento dei prodotti a scaffale.

Non ci stupisce: dal 2008 usiamo tecnologie analoghe – nel nostro caso senza riconoscere gli shopper (garantendo quindi la privacy) – e abbiamo realizzato un database con più di 13 milioni di shopper segmentati per genere, età, comportamenti, prodotti acquistati. Abbiamo misurato l’efficacia delle promo, dei fuori banco, delle hostess e del sampling, della comunicazione (anche video), dei planogrammi, degli assortimenti, associato i dati in tempo reale con le carte fedeltà e con il CRM, analizzato i risultati di diverse attività in store e di couponing. Lavoriamo con marche e distributori per trovare soluzioni operative per migliorare i risultati.

Sappiamo bene che la tecnologia può essere un eccellente “servitore” dello shopper, delle marche, dei distributori. Abbiamo anche imparato che può nascondere delle trappole, in cui anche i giganti possono cascare.

La tecnologia è uno strumento, non è un fine. Deve in primo luogo rendere più facile e piacevole la spesa. Quindi, attenzione e cautela, cioè non anteporre lo strumento al fine ultimo: ogni attività deve portare a risultati concreti e misurabili. Il primo passo per decidere se, come, quando e che cosa installare nei punti vendita è l’analisi degli shopper: chi sono, come agiscono, cosa gradiscono, come possiamo servirli al meglio.

Apple store a Milano… WOW!

Tutti avrete in mente l’immagine dell’Apple Store di New York: l’iconico cubo di cristallo che sorge al centro della Fifth Avenue.

Ebbene, Apple giungerà presto – non è ancora nota la data di apertura – nel cuore di Milano con uno store (ma a senso definirlo solo uno store?) rivoluzionario: molto più di un semplice negozio fisico, un vero e proprio spazio aperto di condivisione, ispirazione e creatività.

L’idea è quella di creare innanzitutto uno spazio di incontro, dove le persone potranno apprendere, partecipare ad eventi ed iniziative con talenti creativi, avere maggiori informazioni sui prodotti Apple e su come usarli, oppure semplicemente prendersi una pausa dalla frenetica vita cittadina godendosi un ambiente accogliente e stimolante.  Poi, forse, comprare.

“Sarà una piazza piena di idee”: recita il sito ufficiale di Apple Italia.

Non vi pare una rivoluzione del paradigma classico del negozio?

Proprio ieri parlavamo di sconti e promozioni nel mondo del largo consumo, lasciandoci con una provocazione: è questa la fine inevitabile degli investimenti di trade marketing? Una soluzione facile di vendita nel breve periodo, che però va ad erodere la brand e store equity?

Apple qui non vende solo un prodotto, ma anche e soprattutto un’esperienza, uno stile, un modello di ispirazione. Certo, la mela può permetterselo. Ma, a fronte di una fascia di consumatori (alto spendenti) che tende a dare sempre più peso alla shopping experience o al servizio, perché non pensare alla qualità (leggi soddisfazione nello shopping) piuttosto che alla quantità (leggi aperture in batteria di negozi sempre uguali) il cui scopo è “solo” vendere senza creare benessere (sì, anche nello shopping!), fiducia e, quindi, fedeltà?

Nota bene: il valore nasce dalla fiducia che è il presupposto della fedeltà. Dalla fedeltà dei clienti si generano i profitti.

Caso o scelta mirata? Ovvero non sprecare le risorse e le opportunità nelle ricerche shopper

Quante interviste utili si possono fare in un supermercato? Che cosa significa utile? Significa intercettare esattamente gli shopper che, attraverso le loro opinioni, possono risolvere il nostro problema.

Partiamo come al solito da un caso reale: il 46 % delle donne adulte tocca il prodotto, ma solo il 16 % lo acquista. Perché? Se riuscissimo a rispondere a questa semplice (???) domanda avremmo l’opportunità di aumentare la conversione d’acquisto. Come?

Primo: dobbiamo capire che cosa succede di fronte allo scaffale, chi tocca il prodotto, chi lo compra e chi lo ripone. Ovviamente su un campione casuale di shopper, non influenzato da osservatori o intervistatori e sufficientemente grande (non le poche e costose interviste di una ricerca shopper tradizionale).

Secondo: dobbiamo avere ben chiaro il problema: voglio aumentare la penetrazione fra gli user oppure acquisire nuovi consumatori? Aumentare la frequenza o la penetrazione?

Terzo: dobbiamo intercettare nei punti vendita gli shopper “funzionali” quindi UTILI per capire ed eventualmente risolvere (se siamo bravi) il nostro problema. Dobbiamo cioè intervistare gli shopper che servono. Così aumentiamo l’efficacia e l’efficienza (risultati più significativi con un investimento più contenuto).

Dialogica e Aimpoint hanno sviluppato una metodologia che permette di ottimizzare le fasi sopra accennate. Campione iniziale molto ampio (circa 700 casi giorno per punto vendita), individuazione chiara e oggettiva del problema, intervento mirato di intervista in store.

Quindi, scelte e decisioni mirate ed efficaci.