Il negozio: che ne sarà dopo il lockdown? Le marche sapranno cogliere l’opportunità? O capitoleranno davanti all’ e-commerce?

Dall’ analisi delle richieste che ci arrivano dalle grandi imprese del largo consumo, ma anche da altri settori, emerge in modo potente la centralità del negozio come media ma soprattutto come punto/momento di incontro fisico con il cliente.

La centralità dello store è praticamente una costante anche nei brief delle aziende che gli studenti del master utilizzano al termine degli stage per la tesi di fine corso.

Questo fatto non deve stupire: abbiamo bisogno di entrare in contato fisico con gli altri. Dopo mesi di rapporti (e acquisti) virtuali vogliamo recuperare la nostra vita, fatta anche di spesa al supermercato, shopping in centro e nei Mall, che finalmente riaprono.

La crisi ha fatto provare a molti i pregi degli acquisti on line, ma ne ha anche evidenziato le debolezze: distacco, poco coinvolgimento, freddezza. Nell’e-commerce si compie una transazione, ma è molto difficile, sicuramente più che nel mondo reale, stabilire una relazione con una marca (non dimentichiamo che un prodotto diventa marca solo se riesce a stabilire una relazione forte e duratura con i suoi consumatori). Spesso le transazioni nell’e-commerce creano valore per il retailer virtuale, più che per la marca. Cosa senz’altro positiva per il venditore, molto meno per la marca.

La parola chiave, così come emerge dal nostro Database, è fisico, la fisicità del contatto con i prodotti, ma anche con luoghi fisici, con commessi, vedere, toccare, provare, confrontarsi e confrontare le diverse offerte.

Le marche non possono perdere questa occasione! Devono farsi carico delle nuove istanze e paure dei consumatori. Usare gli store come nel passato non è solo sbagliato (la pandemia ha cambiato l’approccio alla spesa dei consumatori) ma è anche una opportunità persa che non si ripresenterà (per fortuna!!!) a breve. Dal nostro database, con più di 30 milioni di consumatori profilati per caratteristiche e comportamenti d’acquisto, analizziamo cosa influisce sugli acquisti, cosa impatta sulle scelte dei consumatori e aiutiamo le marche a progettare un nuovo futuro in modo oggettivo, partendo da ciò che non può mancare a ogni impresa (ma che spesso si sottovaluta): il cliente, le sue necessità, i dubbi.

Torna la normalità. Come gestiamo le promo con hostess?

Prima della pandemia un’azienda ci aveva ingaggiati per misurare la reale efficacia delle giornate promo con hostess. Si parlava di 1.000 giornate anno e il Trade Marketing aveva qualche dubbio sull’efficacia e sul ROI delle attività (Aveva ragione, e i nostri dati hanno supportato efficacemente le decisioni future).

Evidenziamo la parola reale perché un’attività in store deve tenere conto di più fattori:

  1. La possibilità della marca di entrare in contatto diretto con i consumatori, quindi l’effetto comunicativo e di coinvolgimento dell’attività.
  2. La possibilità di acquisire, dopo la promo, nuovi consumatori sottraendoli ai competitor (ottimo motivo per spendere molti soldi nel breve – Il consumatore fedele può esserlo per molto tempo, quindi, alla fine il ROI è positivo).
  3. Aumento dei volumi di vendita.

Mettiamo, non a caso, l’aumento delle vendite come ultimo fattore: l’aumento del sell-out, che pure c’è, è un fenomeno di breve periodo e che di solito non giustifica il costo dell’attività (alto, fra contributi al Trade, costo delle hostess, logistica etc..).

Le attività con Hostess possono avere una valenza molto importante in questo momento particolare in cui i consumatori chiedono un rapporto fisico con la marca.

Estraiamo i dati dal Database Dialogica, con più di 30 milioni di shopper profilati per comportamenti e acquisti.

In media dopo il Covid abbiamo registrato aumenti rispetto alla baseline del 300/400 % durante le promo con hostess. L’attività è stata gradita specialmente da donne adulte. Quello che è interessante è stato l’aumento di 4 punti percentuali nell’interesse/attrattività dell’attività. I consumatori gradiscono le promo con Hostess. La marca, oggi più che mai, deve approfittare dell’opportunità offerta dai consumatori che vogliono più contatto.

Attenzione: non tutto va bene! La promo deve essere programmata secondo le nuove esigenze degli shopper. Significa che le giornate “a pioggia” sono inutili, peggio, soldi buttati. Bisogna studiare in dettaglio, prima delle attività, cosa fare, come coinvolgere i consumatori, rispettando i timori e incoraggiando il contatto sicuro con la marca.

Dialogica, anche con test specifici in veri supermercati e ipermercati, può affiancare le aziende per definire i criteri corretti e per misurare i risultati veri di tutte le attività in-store.

Il volantino, oltre a far aumentare le vendite, è un buono strumento di comunicazione?

Il volantino è il primo strumento di comunicazione (e la prima voce di costo di advertising) dei Retailer. Se ne stampano circa 11 miliardi all’anno. La domanda che tutti si fanno da anni, retailer e marche, è: quanto funziona? I soldi (tanti) spesi hanno un ritorno?

Abbiamo lavorato in diverse situazioni, raccogliendo i dati in Italia e all’estero con i nostri sensori a scaffale. Riportiamo un caso recente durante il quale abbiamo misurato l’effetto del volantino su alcuni prodotti a scaffale e in promo (ovviamente sul volantino). Il modello si basa sulla metodologia di Dialogica che ha collaborato con The Valuehub, società specializzata nella valorizzazione delle attività below the line.

Riportiamo una sintesi:

Nel grafico raccogliamo i dati di venduto di un prodotto in due flight con volantino (linea azzurra) associati al traffico davanti allo scaffale (linea arancione). Notiamo che le vendite aggiuntive si concentrano in pochi giorni, mentre l’aumento delle presenze a scaffale precede e segue il picco del sell-out. Il volantino attira più consumatori per più giorni, ha cioè un effetto comunicativo più spalmato rispetto alla vendita, che cresce in modo repentino ma altrettanto velocemente cala. L’effetto comunicativo, che abbiamo potuto misurare, è aggiuntivo rispetto alla vendita e quindi deve essere valorizzato e conteggiato, come se fosse un vero e proprio investimento in comunicazione.

Sarebbe molto utile per i retailer e per le aziende quantificare in modo preciso l’impatto commerciale e comunicativo. In questo modo sarebbe possibile ottenere il reale ROI dei volantini. Magari si potrebbe anche ottimizzare l’impatto che spesso è depresso da una presenza eccessiva di prodotti e da una creatività poco efficace.