La quota di mercato misura la performance di un prodotto rispetto al totale categoria. Nulla dice sullo shopper, sulle sue preferenze. E’ di fatto un indice grossolano, influenzato da moltissimi fattori e non sempre indica in modo corretto la performance della marca e la sua salute.
Un esempio: prendiamo due concorrenti nel mercato della cura della persona, affiancati sugli scaffali, con un numero di facing molto simile. Il primo prodotto vende 81 pezzi medi alla settimana, con una quota del 11,5 %, il secondo 86 pezzi settimana, con quota del 12,2 %. Differenze non abissali.
Peccato che il 71 % delle interazioni (ovvero del numero di shopper che si avvicinano e prendono in mano il prodotto) si traduce in un acquisto per il prodotto 1. Per il prodotto 2 la percentuale di interazioni positive cala al 60 %.
Differenza molto significativa: per il secondo prodotto quasi la metà delle interazioni non si conclude con un acquisto. Il prodotto 2 attira più dell’1, più shopper lo toccano ma meno, in percentuale, concludono l’acquisto. Significa che il 40 % delle opportunità di vendita va sprecato, contro il 29 % del prodotto 1. Più shopper (e, guarda caso, un’attività promozionale più spinta) portano a più pezzi venduti del prodotto 2, ma quanto spreco (anche di margine)! Quanto si potrebbe fare di più e quanto si potrebbe recuperare in quota prendendo atto che una percentuale molto elevata di shopper non è soddisfatta? Un buon esempio di data driven decision, ovvero come scovare informazioni preziose (magari non in mano alla concorrenza) da trasformare in valore. Un buon Natale a tutti.