Confrontiamo una categoria food, con una penetrazione molto elevata in famiglia, in tre catene diverse.
Nella prima catena:
138 referenze – Il 7 % genera il 46 % del sell-out – Il 22 % vende un solo pezzo al mese.
Nella seconda catena:
158 referenza – il 10 % dei prodotti genera il 52 % delle vendite – Solo 2 prodotti vendono un solo pezzo al mese.
Nella terza catena:
260 referenze – il 9 % genera il 40 % dei volumi – Il 15 % vende meno di un prodotto al mese.
La prima e la terza catena hanno un’efficacia assortimentale molto bassa. Troppe referenze a scaffale con rotazioni che deprimono i risultati dell’intera categoria.
Nella terza catena l’intensity index (% di prodotti venduta in promozione) è del 64 %, nella seconda del 42 %.
Nel PV analizzato per la terza catena il maggior traffico davanti allo scaffale è sprecato: il PV della seconda catena, con la metà di shopper davanti allo scaffale genera 2,38 volte più vendite per singolo cliente (medio). In assoluto, il sell-out della catena 2 è stato superiore del 9,5 % alla catena 3, pur con minore pressione promozionale, meno spazio, meno referenze.
Quindi scelte assortimentali e promozionali inadeguate che trascinano verso il basso tutta la categoria. Un’ulteriore avvertenza: com’è possibile misurare la reale efficacia di una categoria, di un cambiamento di planogramma, di un progetto di category management quando il dato è inquinato da fattori che non consentono di leggere il risultato reale (referenze inutili, promo sprecate)? Una maggiore attenzione allo shopper (riuscendo però a raccogliere dati reali e significativi) e meno smanie per i listing fee o i contributi promozionali magari aiuterebbero i margini. Ma questo è un capitolo a parte…