Andiamo subito al nocciolo della questione: Il dato generalmente utilizzato nelle ricerche consumer riporta una percentuale del 75 % di RA alimentari donna.
Davanti allo scaffale abbiamo rilevato la seguente suddivisione di shopper, utilizzando i sensori Dialogica che monitorano in continuo tutti gli shopper (in modo censuario e non campionario) che segmentano per sesso e fasce d’età:
Donne: 49 %
Uomini: 51 %
Continuiamo: nelle acque minerali (analisi su 4 Ipermercati) la situazione è la seguente:
Donne: 39 %
Uomini: 61 %
Qualcuno dirà: impossibile! Peccato che se si analizzano i dati si scopre che il 74 % delle vendite è fatto da fardelli, il grosso dei quali è acquistato il sabato e proprio in questo giorno la presenza dei maschi vola in alto (c’è una correlazione pari a 0,78 fra maschi che osservano i prodotti e sell-out dei fardelli).
Vediamo la segmentazione nei succhi di frutta (la mamma compera per il bambino?):
Donne: 47 %
Uomini: 53 %
Di fatto il marketing delle aziende sta vivendo nel mito delle Signora Maria, la regina incontrastata della casa, la signora che decide le sorti di una marca. E il povero signor Mario? Perché non possiamo accettare che la contaminazione dei generi coinvolga anche chi si reca a fare la spesa? Quante opportunità stiamo tralasciando per colpa di un pregiudizio? Oppure la colpa è solo quella di non fare ricerche shopper? Un dato per tutti: in media, sempre dalle nostre rilevazioni, uno shopper decide l’acquisto in 4 secondi (nelle acque in circa 2 secondi: quanto gioca l’equity della marca sulla decisione di acquisto? Esiste una correlazione fra tempi di acquisto e valore della marca? Come si traduce in atti di acquisto?). In questo tempo brevissimo si scarica tutta l’attività di marketing dell’azienda. Non sarebbe il caso di approfondire questo autentico (e vitale, per le marche) momento della verità?