Il primo panel di punti vendita sperimentali in Italia

Fino ad ora la fase di analisi che precede il lancio di un nuovo prodotto, la revisione del packaging, la esposizione ottimale a scaffale e fuori banco, è stata condotta in laboratorio; focus group, finti supermercati più o meno attrezzati per simulare un punto vendita reale. Le metodologie fin qui usate, corrette dato che niente di meglio era disponibile sul mercato, hanno qualche limite che possiamo riassumere nel limitato numero di shopper coinvolgibili, nella impossibilità di verificare il loro comportamento in condizioni reali, insomma, nella “asetticità” che un laboratorio comporta.

Partendo da queste considerazioni abbiamo studiato il problema: abbiamo analizzato il territorio, il nostro database con più di 14 milioni di shopper profilati, verificato caratteristiche e comportamenti. Abbiamo utilizzato gli strumenti di geo marketing per evidenziare alcune zone d’Italia che potessero essere, per caratteristiche della popolazione, reddito, consumi, in linea con il totale degli italiani.

Assieme a Doxa abbiamo poi creato un mini panel di due punti vendita sperimentali che abbiamo attrezzato con tutti i sensori di Dialogica. A questo punto è possibile seguire lo shopper in tutto il suo percorso di acquisto, testare nuovi prodotti, pack, posizionamenti a scaffale e fuori banco, price positioning…nel mondo reale.

Abbiamo anche usato, come criterio di scelta la “confidenzialità”: i due punti vendita sono sufficientemente “defilati” per evitare che qualche merchandiser (della concorrenza) spii i prodotti in test.

Associamo i risultati alle interviste in store condotte da Doxa, che mette anche a disposizione un panel di shopper che possono essere coinvolti per valutare l’effetto dell’advertising e delle promozioni.

Tutti i dati raccolti sono trattati con Rulex, il sistema di intelligenza artificiale premiato dall’MIT come una delle 10 tecnologie più importanti nei Big Data. Rulex restituisce i fattori che più influiscono sulle vendite, dal prezzo, alla posizione a scaffale; ci permette di creare analisi what-if misurando il potenziale del prodotto, l’impatto sui competitors, l’effetto di diversi tipi di promozioni e esposizioni fuori banco.

Promozioni: il gioco vale la candela?

L’eccesso nell’utilizzo della leva promozionale favorisce la migrazione degli shoppers da un prodotto all’altro, aumentando l’infedeltà alla marca, e la ricerca del puro bargain (l’affare).

Le promozioni sono strumenti da sempre presenti, attività del tutto tattiche, di breve periodo, necessarie per dare slancio alle quote di mercato, contrastare la concorrenza, favorire il pieno sfruttamento della capacità produttiva (con una possibile riduzione dei costi fissi per unità prodotta), far provare i prodotti (sampling) ai consumatori o magari semplicemente per sopravvivere.

Tutto lecito, utile, necessario. Ma… La promozione di prezzo, lo sconto, ha il difetto di deprimere i margini del produttore e del retailer.

Per esemplificare quanto fin qui affermato, vi racconteremo, in questo e nei prossimi post, dei casi estratti da Dianalytics, il nostro database con più di 13 milioni di shopper profilati, che hanno interessato alcuni comparti del settore alimentare.

Oggi ci dedichiamo al settore del food confezionato. Viene monitorato l’andamento di una categoria su un panel di ipermercati in un periodo che abbraccia 6 mesi. Lo studio è motivato dalle condizioni già “critiche” della categoria: mercato frammentato (il 30% delle referenze genera il 70% dei volumi), leva promozionale abusata, assortimento che si è stratificato nel tempo, quindi eccessivamente ampio e dispersivo.

Primo elemento di criticità: la correlazione fra l’andamento del traffico (nr di shoppers che entrano in corsia e arrivano davanti alla categoria) e quello delle vendite è bassa. Il sell out è invece influenzato dalle promozioni.

La domanda è: quanto rende effettivamente l’utilizzo della promozione? Per rispondere analizziamo due prodotti (stesso brand) che si collocano fra i “best performer” e vediamo come le promo impattano non solo in termini di vendite, ma anche di posizionamento.

Nel grafico, sotto riportato, avete il dettaglio delle attività promozionali: il prodotto A è rappresentato dal cerchio blu, e il prodotto B dal cerchio giallo. Le promo si avvicendano in maniera quasi continuativa.

Il saldo alla fine è positivo, ma con un ROI molto risicato: 1,93 per il prodotto A e 2,02 per il prodotto B.

Non solo, il profilo dell’acquirente rimane sempre il medesimo per entrambi i prodotti (maschi adulti e giovani donne). Questo significa che c’è una continua trasmigrazione di shoppers dall’uno all’altro, a seconda dell’attività promozionale.

Anche il posizionamento strategico dei prodotti (il ruolo che rivestono all’interno dell’assortimento a seconda del loro livello di ricercatezza) cambia in funzione delle promo: il prodotto A è tendenzialmente meglio posizionato nella mente dell’acquirente rispetto al prodotto B, al netto della spinta promozionale. Ma quando scatta la promo di B, quest’ultimo risulta più ricercato, e il positioning di A ne risente negativamente.

Come vedete, un investimento che sposta shopper da un prodotto all’altro, sbiadisce l’immagine del brand senza un ritorno soddisfacente. Magari nel breve periodo può funzionare, ma nel lungo termine a che cosa porta?

Uomini e donne: come cambiano i comportamenti d’acquisto?

Questo è uno dei topic più interessanti: come acquistano uomini e donne? Anche nel mondo del largo consumo ci sono differenze?
Se sì, come sono individuabili? E soprattutto come possiamo sfruttarle a nostro vantaggio per una targetizzazione migliore delle nostre attività di comunicazione?

Solitamente, nelle nostre shopper research, acquista un significato molto importante il tempo medio che uno shopper dedica all’osservazione dei prodotti, ovvero il suo tempo di attenzione. Ci siamo accorti che un tempo prolungato di osservazione non sempre denota un maggiore coinvolgimento; può anche segnalare una certa “confusione” dello shopper di fronte ad un lineare non propriamente ordinato e leggibile.

Per saperlo, dobbiamo integrare questo dato con altre informazioni che ci raccontano quanto è “attrattiva” l’esposizione… Vi raccontiamo ora un caso molto interessante che mette in luce proprio le differenze nell’acquisto da parte di uomini e donne.

Siamo nel mondo pulizia della casa. Normalmente ci aspetteremmo una profilazione dello shopper molto spostata sul target femminile… e invece scopriamo che davanti allo scaffale arriva un 49% di uomini e un 51% di donne! Praticamente i due segmenti sono equivalenti. Il comportamento però non è lo stesso… Osserviamo una prima rilevante differenza nei tempi di permanenza (ovvero quanto mediamente gli shopper sostano di fronte allo scaffale, senza necessariamente prestare attenzione ad esso) e poi in quelli di attenzione. Ecco i risultati di un periodo di rilevazione su un panel di 4 ipermercati.

Il tempo di attenzione maschile è superiore del 40 % rispetto a quello femminile. Per le donne il tempo di permanenza coincide sostanzialmente con il tempo di attenzione.

Questo è quello che di primo acchito osserviamo. Ma che cosa ci racconta il fenomeno? Da che cosa dipende il maggiore tempo degli uomini? Per guadagnare una migliore comprensione, integriamo al dato un altro indicatore: la Rilevanza. Per noi questa rappresenta il livello di Interesse suscitato da un prodotto o una categoria, la sua capacità di catturare e mantenere l’attenzione del consumatore (come sempre, vi rimandiamo al nostro glossario per un approfondimento). Ovviamente, più il livello di questo indice è alto, meglio è.

Come potete vedere, pur avendo i tempi di attenzione più alti, gli uomini risultano un po’ meno ingaggiati dalla categoria. Abbiamo quindi formulato una spiegazione: le donne, abituate all’acquisto, passano e comprano direttamente, in modo veloce, sapendo che cosa vogliono. Gli uomini, meno assuefatti alla categoria, risultano spaesati (per questo sostano a lungo di fronte allo scaffale!) e la scarsa leggibilità di quest’ultimo può solo contribuire ad aumentare la loro confusione!

Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticarci che il target maschile pesa il 49%!! Quindi, ipotizzando una configurazione di scaffale più chiara e leggibile, quante opportunità di vendita in più si potrebbero creare?