Vanity Fair e la scienza degli eventi di successo

L’oasi urbana Vanity Fair Green House allestita in occasione della Design Week di Milano ha avuto un grandissimo successo. Più di 20.000 visitatori, molto “engaged”, attratti dall’evento, dalle diverse “oasi” all’interno della Green House. Opinioni? No, fatti.

L’intera Green House è stata coperta con i sensori Dialogica per misurare gli afflussi, le presenze nelle varie aree, il tasso di attrattività, il gradimento, l’engagement. Ora per ora abbiamo misurato ciò che i visitatori hanno gradito di più, ciò che li ha coinvolti, individuando i target segmentati per sesso e fasce d’età.

Vanity Fair e il gruppo Condé Nast si sono affidati alla tecnologia per ottenere insight preziosi sull’evento, per fornire dati agli sponsor, per affinare le attività future.

I dati sono stati certificati da Ebiquity, che ha provveduto alla valorizzazione media dei risultati.

Come dico sempre ai miei studenti (a cui si rivolge primariamente il Blog), l’attività di marketing si basa, in primis, sulla analisi di dati oggettivi, che producono insight preziosi che guidano la creatività.

Ecco un esempio di successo: il gruppo Condé Nast analizza, pensa, esegue, verifica. Non vi suona famigliare? Non è altro che il processo deduttivo che segue la scienza (Cartesio Docet…Il discorso sul metodo). Riusciamo finalmente dire addio al marketing facilone, improvvisato e ad altissimo rischio di errore?

Il GDPR per il marketing

Negli ultimi tempi si è parlato molto del GDPR, ovvero del regolamento europeo per il trattamento dei dati. Argomento da avvocati ma con pesanti implicazioni per il marketing. La scorsa settimana ad un convegno un “consulente” che proponeva sistemi di tracking nei negozi è stato incalzato con una domanda molto pertinente: come la mettiamo con la privacy?

Risposta. “non c’è problema, facciamo noi l’autocertificazione”. Attenzione! Il GDPR impone che tutti i sistemi che raccolgono dati personali siano progettati e gestiti secondo la regola “by default & by design” ossia dalla necessità di configurare il trattamento prevedendo fin dall’inizio le garanzie indispensabili “al fine di soddisfare i requisiti” del regolamento e tutelare i diritti degli interessati, tenendo conto del contesto complessivo ove il trattamento si colloca e dei rischi per i diritti e le libertà degli interessati. Questo prima che i dati siano raccolti.

Il GDPR stabilisce che i dati devono essere del tutto anonimi, non possono essere associati alla singola persona nemmeno indirettamente: rientrano fra i dati sensibili anche i movimenti delle persone. I dati devono essere conservati all’interno della EU.

Cosa si rischia? Un richiamo da parte del Garante e successivamente una multa che può arrivare al 4 % del fatturato mondiale dell’azienda, fino ad un massimo di 20 milioni di euro.

Quindi massima attenzione!

Come deve comportarsi il markettaro? Deve fare un assessment molto accurato selezionando solo i fornitori che possono dimostrare, documenti alla mano (ovvero autorizzazioni formali del Garante, trattamento adeguato dei dati, storage solo nella EU…) di aver adempito a tutti gli obblighi di legge, dimostrando, con i fatti, una comprovata esperienza nella gestione di dati sensibili.

In particolare, per tutti i sistemi di tracking degli shopper nei punti vendita bisogna diffidare di tutte le società che non possono dimostrare di possedere tutte le competenze e autorizzazioni alla raccolta e gestione dei dati, che non possono vantare una pluriennale esperienza. Purtroppo il mercato è inquinato da soggetti improvvisati, senza una esperienza specifica, che magari provengono da settori diversi dalle analisi di marketing (ad esempio la videosorveglianza).

Quindi attenzione e di nuovo, meglio arrossire prima che sbiancare dopo!

Una (bella) vetrina funziona sempre e ovunque?

Da troppo tempo non parliamo di efficacia delle vetrine: vi propongo un caso interessante. Una nuova vetrina, all’apparenza molto “smart” e sicuramente assai più costosa della precedente. Vediamo i dati generati con le tecnologie di Dialogica e provenienti da due tipologie diverse di negozi:

  • Store con vetrina direttamente sulla strada
  • Store con vetrina arretrata

Nel primo caso abbiamo aumenti significativi dell’attrattività (da un 18 % della vetrina vecchia ad un 37 % della nuova), un aumento importante dell’engagement, più ingressi in negozio (+ 17 %).

Nel secondo caso i dati sono praticamente piatti, ovvero la nuova vetrina non porta risultati significativi.

Entrambi i cluster di negozi, aggregati secondo la disposizione delle vetrine (su strada o arretrati) sono nelle vie centrali di grandi città nel Nord e nel Centro Italia.

Alcune domande sorgono spontanee:

  1. La tipologia del negozio, la disposizione delle vetrine, influiscono sul risultato?
  2. Ovvero, lo stesso visual in contesti diversi produce differenti risultati?
  3. La location, i flussi di traffico esterni, fanno si che una medesima creatività produca risultati molto diversi?

Nella nostra esperienza, ormai decennale, rileviamo la necessità di trattare lo store nella sua interezza, ovvero cogliendo tutto il percorso dello shopper, dall’esterno del punto vendita fino all’acquisto. Dobbiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti che determinano il risultato commerciale, dalla location all’ efficacia del visual merchandising, fino a quella dei venditori. Ogni lettura parziale porta a conclusioni incomplete e quindi potenzialmente foriere di errori o sprechi (come nel caso che abbiamo analizzato).