Una alternativa (interessante) alle promo di prezzo

E’ ormai assodato che il digital signage, sebbene sia un media ancora “giovane”, abbia grandi potenzialità di crescita. Ma come sfruttare l’opportunità nei punti di vendita?

Già nell’articolo, “Come convertire gli shoppers potenziali in attuali?”, avevamo visto che l’efficacia della comunicazione dipende da molti fattori, fra cui il contesto: il “dove”, il “quando” e il “come”. E’ chiaro che la comunicazione veicolata dai display non renderà sempre allo stesso modo: sapere dove collocarli all’interno dei punti vendita, quale comunicazione veicolare è fondamentale per ottenere effetti positivi e non bruciare risorse.

Oggi vogliamo condividere una esperienza che combina un modesto taglio prezzo (10% di sconto) e la video comunicazione.

Abbiamo assistito il retailer indicando dove installare, come rendere i monitor attrattivi, che cosa comunicare. La comunicazione funziona e gli shopper comprano. Motivo? Il “dove”, il “quando” e il “come” sono corretti: il consumatore viene intercettato nell’esatto momento in cui deve procedere all’acquisto con una comunicazione rapida (il tempo di attenzione è di circa 1,5”) e semplice.

Il grafico riporta il numero di shopper potenziali, che ricordiamo essere coloro che prestano attenzione alla comunicazione e ai prodotti, per il periodo da noi monitorato (2 mesi). Abbiamo evidenziato con un rettangolo rosso le settimane in cui è andata on-air la comunicazione promozionale. L’attenzione cresce in modo sensibile (+ 19 %, + 11 %, + 4 %) durante i periodi promozionali.

Durante la prima attività promo, il numero degli shopper interessati aumenta del 19%, il nr di scontrini totali del PV cala lievemente, ma il sell-out cresce del 12%! La seconda attività suscita un aumento dell’ 11% dei viewers e del 13% delle vendite. Durante la terza, il nr di viewers cresce, sebbene in misura più modesta (d’altra parte l’attenzione ha raggiunto livelli ormai alti), mentre il trend di crescita del sell-out mantiene la sua tenuta (+ 12%).

Un tentativo riuscito e una alternativa alle classiche promo superscontate… tutto da esplorare.

La tecnologia nei punti vendita… Attenzione

Il Wall Street Journal (clicca qui per leggere l’articolo) ha annunciato il ritardo nell’apertura al pubblico del punto vendita Amazon GO di Seattle, finora accessibile soltanto ai dipendenti.

Sembra che il ritardo sia dovuto a problemi relativi alla tecnologia. Amazon GO è il primo negozio totalmente automatizzato: lo shopper è “riconosciuto”, prende i prodotti, esce senza passare per le casse. Sembra che il ritardo sia dovuto al fatto che le tecnologie usate da Amazon creano problemi in caso di affollamento del negozio e nel tracciamento dei prodotti a scaffale.

Non ci stupisce: dal 2008 usiamo tecnologie analoghe – nel nostro caso senza riconoscere gli shopper (garantendo quindi la privacy) – e abbiamo realizzato un database con più di 13 milioni di shopper segmentati per genere, età, comportamenti, prodotti acquistati. Abbiamo misurato l’efficacia delle promo, dei fuori banco, delle hostess e del sampling, della comunicazione (anche video), dei planogrammi, degli assortimenti, associato i dati in tempo reale con le carte fedeltà e con il CRM, analizzato i risultati di diverse attività in store e di couponing. Lavoriamo con marche e distributori per trovare soluzioni operative per migliorare i risultati.

Sappiamo bene che la tecnologia può essere un eccellente “servitore” dello shopper, delle marche, dei distributori. Abbiamo anche imparato che può nascondere delle trappole, in cui anche i giganti possono cascare.

La tecnologia è uno strumento, non è un fine. Deve in primo luogo rendere più facile e piacevole la spesa. Quindi, attenzione e cautela, cioè non anteporre lo strumento al fine ultimo: ogni attività deve portare a risultati concreti e misurabili. Il primo passo per decidere se, come, quando e che cosa installare nei punti vendita è l’analisi degli shopper: chi sono, come agiscono, cosa gradiscono, come possiamo servirli al meglio.

Apple store a Milano… WOW!

Tutti avrete in mente l’immagine dell’Apple Store di New York: l’iconico cubo di cristallo che sorge al centro della Fifth Avenue.

Ebbene, Apple giungerà presto – non è ancora nota la data di apertura – nel cuore di Milano con uno store (ma a senso definirlo solo uno store?) rivoluzionario: molto più di un semplice negozio fisico, un vero e proprio spazio aperto di condivisione, ispirazione e creatività.

L’idea è quella di creare innanzitutto uno spazio di incontro, dove le persone potranno apprendere, partecipare ad eventi ed iniziative con talenti creativi, avere maggiori informazioni sui prodotti Apple e su come usarli, oppure semplicemente prendersi una pausa dalla frenetica vita cittadina godendosi un ambiente accogliente e stimolante.  Poi, forse, comprare.

“Sarà una piazza piena di idee”: recita il sito ufficiale di Apple Italia.

Non vi pare una rivoluzione del paradigma classico del negozio?

Proprio ieri parlavamo di sconti e promozioni nel mondo del largo consumo, lasciandoci con una provocazione: è questa la fine inevitabile degli investimenti di trade marketing? Una soluzione facile di vendita nel breve periodo, che però va ad erodere la brand e store equity?

Apple qui non vende solo un prodotto, ma anche e soprattutto un’esperienza, uno stile, un modello di ispirazione. Certo, la mela può permetterselo. Ma, a fronte di una fascia di consumatori (alto spendenti) che tende a dare sempre più peso alla shopping experience o al servizio, perché non pensare alla qualità (leggi soddisfazione nello shopping) piuttosto che alla quantità (leggi aperture in batteria di negozi sempre uguali) il cui scopo è “solo” vendere senza creare benessere (sì, anche nello shopping!), fiducia e, quindi, fedeltà?

Nota bene: il valore nasce dalla fiducia che è il presupposto della fedeltà. Dalla fedeltà dei clienti si generano i profitti.

Promozioni: il gioco vale la candela?

L’eccesso nell’utilizzo della leva promozionale favorisce la migrazione degli shoppers da un prodotto all’altro, aumentando l’infedeltà alla marca, e la ricerca del puro bargain (l’affare).

Le promozioni sono strumenti da sempre presenti, attività del tutto tattiche, di breve periodo, necessarie per dare slancio alle quote di mercato, contrastare la concorrenza, favorire il pieno sfruttamento della capacità produttiva (con una possibile riduzione dei costi fissi per unità prodotta), far provare i prodotti (sampling) ai consumatori o magari semplicemente per sopravvivere.

Tutto lecito, utile, necessario. Ma… La promozione di prezzo, lo sconto, ha il difetto di deprimere i margini del produttore e del retailer.

Per esemplificare quanto fin qui affermato, vi racconteremo, in questo e nei prossimi post, dei casi estratti da Dianalytics, il nostro database con più di 13 milioni di shopper profilati, che hanno interessato alcuni comparti del settore alimentare.

Oggi ci dedichiamo al settore del food confezionato. Viene monitorato l’andamento di una categoria su un panel di ipermercati in un periodo che abbraccia 6 mesi. Lo studio è motivato dalle condizioni già “critiche” della categoria: mercato frammentato (il 30% delle referenze genera il 70% dei volumi), leva promozionale abusata, assortimento che si è stratificato nel tempo, quindi eccessivamente ampio e dispersivo.

Primo elemento di criticità: la correlazione fra l’andamento del traffico (nr di shoppers che entrano in corsia e arrivano davanti alla categoria) e quello delle vendite è bassa. Il sell out è invece influenzato dalle promozioni.

La domanda è: quanto rende effettivamente l’utilizzo della promozione? Per rispondere analizziamo due prodotti (stesso brand) che si collocano fra i “best performer” e vediamo come le promo impattano non solo in termini di vendite, ma anche di posizionamento.

Nel grafico, sotto riportato, avete il dettaglio delle attività promozionali: il prodotto A è rappresentato dal cerchio blu, e il prodotto B dal cerchio giallo. Le promo si avvicendano in maniera quasi continuativa.

Il saldo alla fine è positivo, ma con un ROI molto risicato: 1,93 per il prodotto A e 2,02 per il prodotto B.

Non solo, il profilo dell’acquirente rimane sempre il medesimo per entrambi i prodotti (maschi adulti e giovani donne). Questo significa che c’è una continua trasmigrazione di shoppers dall’uno all’altro, a seconda dell’attività promozionale.

Anche il posizionamento strategico dei prodotti (il ruolo che rivestono all’interno dell’assortimento a seconda del loro livello di ricercatezza) cambia in funzione delle promo: il prodotto A è tendenzialmente meglio posizionato nella mente dell’acquirente rispetto al prodotto B, al netto della spinta promozionale. Ma quando scatta la promo di B, quest’ultimo risulta più ricercato, e il positioning di A ne risente negativamente.

Come vedete, un investimento che sposta shopper da un prodotto all’altro, sbiadisce l’immagine del brand senza un ritorno soddisfacente. Magari nel breve periodo può funzionare, ma nel lungo termine a che cosa porta?

Un tour… un’esperienza. Ecco i numeri

Un evento rappresenta sempre un’ottima opportunità di visibilità per le aziende e i loro brands, nonché un punto di contatto diretto, e quindi “privilegiato”, con i loro clienti.

Nella precedente puntata ci eravamo lasciati con una domanda: è possibile calcolare l’effettivo ritorno di un investimento di marketing di questo tipo? Vi avevamo anticipato che è possibile per noi raccogliere dati e tradurli in informazioni atte a stabilire la potenzialità di una piazza/location, a capire quale è stata la copertura effettiva e se è stato raggiunto il proprio target di interesse.

Oggi vi raccontiamo un caso che ha visto come protagonista un evento di grande successo.

Siamo nell’estate/autunno 2012. Mondadori lancia l’iniziativa del Tour Experience Donna Moderna, con tappa in sei città italiane. Quattro sono le tappe da noi monitorate: Bari, Napoli, Roma e Brescia.

Il tour si preannuncia già come una sfida. L’area da monitorare è molto ampia: al suo interno prevede sia spazi dedicati a varie attività di intrattenimento (cucina, fitness, laboratori, sfilate…), sia corner ceduti come spazi pubblicitari e di vendita effettiva ad aziende sponsor dell’evento. Il cliente ci pone queste domande: quali sono i numeri effettivi del tour? Quale piazza ha reso meglio? Che visibilità ha dato a Donna Moderna e alle aziende sponsor?

Nel grafico vi riportiamo, per singola tappa, i dati relativi al numero complessivo di visitatori (traffico, ovvero le persone che sono transitate all’esterno della struttura), di chi l’ha osservata (viewers) e di chi è effettivamente entrato (ingressi).

La tappa di Napoli si impone come “best performer”. I numeri sono i più alti. Se tuttavia consideriamo i tassi di conversione, scopriamo che Napoli si posiziona al primo posto solo in termini di numeri assoluti: Brescia infatti registra il tasso di ingresso più alto (42% contro una media del 27% delle altre piazze), e pure il rapporto fra il suo numero di visitatori e il bacino di popolazione di riferimento è il più elevato (17% contro una media dell’ 8%).

A questi dati integriamo ora un esempio di nostri KPIs che misurano il grado di coinvolgimento dell’audience raggiunta:

Napoli si riposiziona al primo posto per i livelli di Attrattività (che ricordiamo essere la capacità della struttura di catturare lo sguardo dei visitatori). Roma, che sembrava aver deluso un po’ le aspettative per l’affluenza di visitatori, si aggiudica invece il primato sui livelli di Interesse e Attenzione generati.

Nel complesso, l’evento ha registrato 205.300 visitatori; 51.000 sono stati i visitatori medi per singola tappa e più di 10.000 per singolo giorno. Numeri decisamente da favola!

Uomini e donne: come cambiano i comportamenti d’acquisto?

Questo è uno dei topic più interessanti: come acquistano uomini e donne? Anche nel mondo del largo consumo ci sono differenze?
Se sì, come sono individuabili? E soprattutto come possiamo sfruttarle a nostro vantaggio per una targetizzazione migliore delle nostre attività di comunicazione?

Solitamente, nelle nostre shopper research, acquista un significato molto importante il tempo medio che uno shopper dedica all’osservazione dei prodotti, ovvero il suo tempo di attenzione. Ci siamo accorti che un tempo prolungato di osservazione non sempre denota un maggiore coinvolgimento; può anche segnalare una certa “confusione” dello shopper di fronte ad un lineare non propriamente ordinato e leggibile.

Per saperlo, dobbiamo integrare questo dato con altre informazioni che ci raccontano quanto è “attrattiva” l’esposizione… Vi raccontiamo ora un caso molto interessante che mette in luce proprio le differenze nell’acquisto da parte di uomini e donne.

Siamo nel mondo pulizia della casa. Normalmente ci aspetteremmo una profilazione dello shopper molto spostata sul target femminile… e invece scopriamo che davanti allo scaffale arriva un 49% di uomini e un 51% di donne! Praticamente i due segmenti sono equivalenti. Il comportamento però non è lo stesso… Osserviamo una prima rilevante differenza nei tempi di permanenza (ovvero quanto mediamente gli shopper sostano di fronte allo scaffale, senza necessariamente prestare attenzione ad esso) e poi in quelli di attenzione. Ecco i risultati di un periodo di rilevazione su un panel di 4 ipermercati.

Il tempo di attenzione maschile è superiore del 40 % rispetto a quello femminile. Per le donne il tempo di permanenza coincide sostanzialmente con il tempo di attenzione.

Questo è quello che di primo acchito osserviamo. Ma che cosa ci racconta il fenomeno? Da che cosa dipende il maggiore tempo degli uomini? Per guadagnare una migliore comprensione, integriamo al dato un altro indicatore: la Rilevanza. Per noi questa rappresenta il livello di Interesse suscitato da un prodotto o una categoria, la sua capacità di catturare e mantenere l’attenzione del consumatore (come sempre, vi rimandiamo al nostro glossario per un approfondimento). Ovviamente, più il livello di questo indice è alto, meglio è.

Come potete vedere, pur avendo i tempi di attenzione più alti, gli uomini risultano un po’ meno ingaggiati dalla categoria. Abbiamo quindi formulato una spiegazione: le donne, abituate all’acquisto, passano e comprano direttamente, in modo veloce, sapendo che cosa vogliono. Gli uomini, meno assuefatti alla categoria, risultano spaesati (per questo sostano a lungo di fronte allo scaffale!) e la scarsa leggibilità di quest’ultimo può solo contribuire ad aumentare la loro confusione!

Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticarci che il target maschile pesa il 49%!! Quindi, ipotizzando una configurazione di scaffale più chiara e leggibile, quante opportunità di vendita in più si potrebbero creare?